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Commissione ecomafie 3. La senatrice Nugnes

by Flavio Cioffi
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La senatrice Paola Nugnes, tra i fondatori del Movimento 5Stelle, ha fatto parte della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti. Le abbiamo chiesto di aiutarci nel nostro percorso informativo e le abbiamo quindi posto qualche domanda.

Come ha lavorato la Commissione e come ha prodotto le sue relazioni?

La funzione principale della Commissione è di natura politica, svolge inchieste piuttosto che vere e proprie indagini. Si tratta di approfondire, verificare e valutare, evidenziando eventuali illeciti connessi al ciclo dei rifiuti, alla macchina amministrativa, ma anche di individuare eventuali carenze legislative.

A questa mole di informazioni documentali, determinate da sopralluoghi, audizioni e accesso agli atti è seguito o avrebbe dovuto seguire una fase conclusiva, di sintesi, capace di evidenziare anche un giudizio di tipo politico, condiviso, ma certamente politico. In alcune occasioni c’è stata, invece, a mio avviso una sorta di sospensione del giudizio.

Un esempio è stata la gestione della questione inerente allo stabilimento Ilva di Taranto, che avrebbe avuto bisogno di un’indagine sicuramente più cruda e diretta, meno superficiale.

Ho avuto sicuramente modo di apprezzare il lavoro del presidente della Commissione, Bratti, sotto il profilo tecnico e delle competenze, invece dal punto di vista politico ci siamo trovati spesso in contrapposizione, a causa di una conduzione troppo spesso prudente, forse troppo rispettosa degli interessi del Partito Democratico. L’approfondimento sull’Ilva, in una legislatura caratterizzata da dieci decreti, di cui il primo nel 2012, di sospensione del giudizio della magistratura e caratterizzato da continue deroghe proprio di quelle prescrizioni ambientali grazie alle quali si era decretata la riapertura dello stabilimento, avrebbe dovuto essere inflessibile. ma è cosa possibile? E’ sicuramente cosa auspicabile.

Durante la missione a Taranto chiedemmo di recarci su alcuni luoghi specifici dell’impianto, segnalatici da alcuni rappresentanti dei sindacati la sera prima, ma non ci fu consentito e il tutto si risolse in una “visita guidata” degli uffici e dell’impianto Su quegli stessi luoghi furono individuati, poche settimane dopo, siti di sversamenti e deposito illeciti. In quel caso abbiamo fallito perché non abbiamo saputo o voluto seguire una traccia.

 

Lei è stata correlatrice degli approfondimenti sulla Basilicata e sul Lazio.

Riguardo alla Basilicata molto è stato denunciato, ma non abbastanza e se qualche posizione più netta è stata assunta è stato grazie a noi 5Stelle.

Quanto al Lazio fu deciso di posticipare la chiusura della relazione all’indomani delle elezioni comunali a Roma. Io denunciai questa scelta perché era chiara l’intenzione di concentrare l’attenzione sul nuovo sindaco, che si sapeva sarebbe stata la Raggi, per sfruttare l’occasione mediatica in modo politico e strumentale. E infatti l’audizione del neoassessore Muraro si tenne, per la prima volta nella legislatura, nella sala audiovisivi, in diretta TV, fino a notte.

Ovviamente, queste, come le precedenti, sono valutazioni politiche personali non necessariamente coincidenti con quelle dei miei colleghi 5Stelle in Commissione.

Della Commissione finora ho evidenziato i lati cosiddetti deboli, dovuti a scelte politiche di opportunità, ma è necessario ribadire quanto la Commissione sia stato uno strumento per altro importantissimo che ha lavorato molto bene e con zelo, anche grazie all’altissimo livello di competenza dei consulenti.

 

Ci faccia qualche esempio

Penso a tutto il lavoro documentale accuratissimo, alla costante informativa alle Camere per fornire elementi utili per l’attività legislativa, come pure allo studio, accurato e attento, sullo stato di attuazione della legge 68/2015 sugli ecoreati.

 

La relazione conclusiva parla di un “sistema delle ecomafie”. Cosa intende esattamente?

E’ un sistema antico, agevolato, fino a pochi anni fa, dall’inadeguatezza degli strumenti legislativi, oggi solo parzialmente sanata, con la Legge 68 del 2015 che ha introdotto molti reati ambientali tra i delitti, nel codice penale, ma purtroppo ancora troppi reati restano nella 152/2006, semplici contravvenzioni, per cui delinquere nel campo ambientale e dei rifiuti “conveniva” ed in buona  sostanza ancora “conviene”, per la sostanziale impunibilità o per le scarse sanzioni poco dissuasive al crimine.

Questo sistema criminale poggia su tre pilastri: quello imprenditoriale, quello propriamente malavitoso (spesso associazioni di stampo mafioso) e quello politico; ambiti naturalmente spesso interconnessi. Il sistema malavitoso e un’imprenditoria ai limiti della legalità trovano spesso terreno fertile alle loro attività nelle carenze della politica, soprattutto a livello locale, territoriale, nelle carenze strutturali degli enti preposti al controllo, nella sudditanza degli enti locali ai ricatti occupazionali e nella corruttibilità dei pubblici amministratori.

Il traffico dei rifiuti, specie quello di tipo industriale, ha origini che vanno ricercate in uno sviluppo industriale spregiudicato, di tipo predatorio, che si è realizzato, in tutto il nord e centro Europa, Italia del nord est compreso, a danno dei Paesi del Sud del mondo, Mezzogiorno d’Italia incluso, come ci ha insegnato il caso, irrisolto, dell’assassinio di Ilaria Alpi. In quella oscura vicenda che è la pietra miliare dello scandalo dello sviluppo industriale del nostro paese, il nostro peccato originale, diciamo, si sospetta ci siano responsabilità di parti importanti dello Stato e dei servizi segreti che hanno valutato il danno ambientale di allora come un danno collaterale accettabile dello sviluppo.

 

Perché i 5Stelle non hanno approvato la relazione sulla Campania?

Per la precisione ci siamo astenuti, perché la procedura dell’approfondimento è stata anomala e si è chiusa in maniera superficiale. E’ stato fatto un grande lavoro di raccolta dati, ma è mancata l’analisi politica. Probabilmente i relatori erano preoccupati per le imminenti elezioni e si è voluto salvaguardare la Giunta regionale del PD senza infierire troppo su di una situazione già abbastanza palese.

Mi assumo la responsabilità di questa affermazione, ma credo di essere nel giusto. Esistono realtà estremamente gravi che andavano denunciate con forza. I riferimenti non mancano, certamente, è tutto accuratamente documentato, ma le responsabilità, le ragioni di tutto questo vanno ricercati nelle oltre 600 pagine di relazione, laddove sarebbe stata necessaria e al fine bastevole la scelta di portare all’evidenza e denunciare il preciso quadro delle responsabilità, ma anche questa è stata, alla fine, una scelta politica di opportunità. Basti pensare alle ecoballe, all’area ex Resit di Giugliano o alla mancata bonifica di Bagnoli.

Inoltre, il lavoro è stato condotto in due diverse fasi, a distanza di quasi due anni l’una dall’altra, a causa della sopraggiunta mancanza del magistrato assegnato, e questo ha contribuito ad una certa disomogeneità, anche dettata dalla fretta di concludere e approvare la relazione a fine legislatura, anzi a camere già sciolte, come tra l’altro già è accaduto nella precedente legislatura.

 

Dalle audizioni è emersa la diversa impostazione di fondo tra le giunte regionali di Caldoro e De Luca, in particolare riguardo ai termovalorizzatori.

Il termine termovalorizzatori non è corretto, sono inceneritori. Ma il vero problema è la mancanza di impianti di compostaggio che ci impedisce di produrre compost, del quale abbiamo un bisogno urgente. La messa in sicurezza dell’ex Resit si è bloccata perché non c’era il terreno necessario alla copertura, nei tempi contingenti in cui l’appaltatore lo avrebbe trovato economicamente vantaggioso. In tutti questi anni, nessuno ha veramente implementato la filiera economica del riciclo dei rifiuti e del recupero della materia.

 

Eppure, De Luca rivendica buoni risultati.

De Luca continua a dire di voler fare impianti di compostaggio, ma fa un’operazione di manipolazione semantica, non vuole fare impianti di compostaggio, lui vuole fare impianti di biodigestione, come quello di Salerno (che è stato sequestrato dalla Magistratura perché riceveva rifiuto tal quale invece di umido da raccolta differenziata). Sono cose diverse. I biodigestori non presuppongono una raccolta di umido ben fatta e producono un rifiuto, il digestato, che deve essere poi compostato a costi molto alti. Il loro fine aziendale non è la produzione di buon compost ma la produzione di biogas che viene molto ben pagato con gli incentivi statali dal GSE.

In ogni caso non ha realizzato né gli uni né gli altri.

Bisogna mettere in campo un’altra logica, quella dell’economia circolare. Gli enti preposti devono imparare a fare una buona raccolta e quindi una buona selezione e un buon riciclo. Non è tanto importante quanto raccogliamo, ma quanto viene riciclato e il residuo non riciclabile deve diventare una materia prima seconda, un asfalto. Non ci possiamo più permettere di consumare materia perché il relativo costo ambientale è altissimo.

 

Parliamo delle ecoballe.

Il piano di smaltimento di De Luca sembrava abbastanza interessante nel maggio 2016 perché valutava anche il recupero di materia procedendo al rewamping degli impianti di Giugliano e di Caivano. Però destinava la metà delle risorse economiche disponibili alla gestione di un terzo del totale delle ecoballe, quelle cioè destinate ad impianti fuori regione. Alla mia specifica domanda fu risposto che si voleva dare all’Europa la sensazione di essere in grado di raggiungere velocemente qualche risultato. Invece, questo è stato il primo e principale fallimento del piano.

I volumi smaltiti sono infatti bassissimi, perché non si sono ottenute le autorizzazioni necessarie dai Paesi transfrontalieri di destinazione.  Gli impianti STIR non sono stati ristrutturati. Peraltro, il piano, improvvisamente, dopo il 2017, ha previsto la realizzazione di nuovi impianti, con i connessi ulteriori costi.

 

Veniamo a Bagnoli. Il Movimento non è mai stato d’accordo con il commissariamento.

Assolutamente no. Siamo convinti che la bonifica vada si fatta a cura dello Stato, si tratta di un SIN (sito di interesse nazionale) ma i piani urbanistici sono di competenza degli enti territoriali.

In Commissione è stata sbandierata una bonifica radicale senza avere nessuna valutazione del danno e quindi senza conoscerne i costi. Solo oggi, finalmente, esiste una precisa caratterizzazione, si è valutato il rischio e quindi si sta redigendo il progetto, ma, in assenza di numeri precisi, perché lo Sblocca Italia ha affidato al Commissario anche la competenza sulla rigenerazione urbana che varrà per decreto quale variante al piano regolatore? Perché diventa un bancomat per pagare la bonifica. Se questa venisse a costare molto, sarà dato spazio alle speculazioni degli investitori privati.

Probabilmente si realizzerà una qualche bonifica, ma la speculazione immobiliare, con tanto cemento, avrà un impatto altissimo con un carico urbano insostenibile per un territorio che ha già un surplus abitativo enorme.

 

La Commissione si è occupata anche della depurazione in Campania, ma non sembra sia entrata nel vivo del problema.

Forse è stata la parte più dolente della relazione. Non si è, infatti, riusciti ad approfondire sufficientemente la questione. La Regione è in gravissimo ritardo con gli affidamenti ai privati della gestione degli impianti comprensoriali per cui, dopo un miglioramento dell’efficienza del sistema grazie all’azione del Commissario Dell’Acqua dopo gli anni buissimi della gestione Idrogest e della cattiva gestione Regionale, si è tornati, con la gestione SMA, al passato: procedure di affidamento dello smaltimento dei fanghi non trasparenti e costi lievitati. Impianti al collasso, come ci viene detto anche da alcuni ispettori usl.

di Flavio Cioffi