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Confessioni di un chitarrista

by Pierluigi Cuomo
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Le unghie della mano destra non le ho mai tagliate. Ho cercato di tenere la massima cura possibile, no non ci potevo pensare. Non potevo farmi una ragione del fatto di aver passato tutti quei pomeriggi di ragazzo a sgobbare sulla chitarra studiando, esercitandomi senza che questo prima o poi avesse avuto un senso, almeno per me. La mano destra per un chitarrista è l’interpretazione, la sinistra è l’armonia ma le due senza tecnica senza sacrificio senza lo sfinimento e qualche volta il martirio della settima ora, non parlano tra loro e spesso sono molto meno collegate di quanto comunemente si possa pensare. Ho sempre creduto nell’asimmetria, perché anche il mio modo di pensare, di sentire lo è.

E non ho mai smesso di suonare, mai, anche se ad un certo punto del mio cammino artistico ho smesso di farlo in pubblico. Qualche concerto di chitarra classica con repertorio classicissimo, poi una breve esperienza con un gruppo di musica barocca e infine una passione sfrenata per la bossa nova che mi portò addirittura a fare la “chitarra bar” d’estate in qualche locale un po’ alternativo delle nostre coste del sud, così tanto per guadagnare qualcosa. Niente che c’entrasse qualcosa con l’altra se non le sei corde. Bene.

E mi misi faticosamente in contatto con un docente di chitarra classica di un conservatorio italiano, a Napoli all’epoca la “cattedra” di chitarra classica non c’era, per capire se come dove e quando avrei potuto sostenere un esame di ammissione. Dopo qualche mese fui ricevuto. Fu molto sgarbato, arrogante, protervo e quasi mi irrise dopo avermi ascoltato, ed io che di diplomazia un campione non sono stato mai, gli risposi per le rime giocandomi definitivamente la possibilità di entrare in quel conservatorio. Meno male che invece il mio Maestro di sempre mi ha insegnato a suonare col cuore, così come solo lui sapeva fare. Bene.

Forse per reazione qualche settimana dopo comprai una chitarra elettrica che ho suonato solo per tre giorni, ancora sta in cantina quella chitarra li. Avevo le unghie troppo lunghe e il plettro non l’ho mai saputo usare. Poi il silenzio.

Subito dopo, un passaggio rapido e turbolento alla Facoltà di Lettere Filosofia a via Mezzocannone, dove sono inciampato in qualche mente folgorante che ancora ricordo nitidamente così come era nitido quel libero pensiero che un po’ ho voluto far mio. Forse la mia anima pronta non lo era ancora, e la mania e quell’inquietudine tutta generazionale di cercarsi, di cercare forme espressive, come in un imbuito si trasfuse nell’esperienza teatrale di quei gruppi al confine della ricerca di quel periodo un po’ eroico e folle intorno agli anni post-terremoto a Napoli. Insomma, ci riuscivo. Bene. Fu incoraggiante fui incoraggiato a continuare anche da attori con carriere importanti fino a quando non arrivai a Roma a diplomarmi in recitazione al Centro Sperimentale. Ma le unghie ancora le tenevo. E da lì teatro, la tv, (il termine fiction esisteva ancora solo nei libri di sociologia della letteratura) talvolta il cinema. No, le unghie non le tagliavo anche se a volte qualcuno mi guardava perplesso non capendo cosa fosse quel modo strano di tenere le mani con la sinistra regolare e la destra come una femmina. E per conto mio a casa continuavo a suonare a cercare. E’ comprensibile immagino, se poi un giovanotto quando viene guardato con accondiscendenza con simpatia e talvolta addirittura con stima lavorando con dei giganti decide di insistere su quella strada. Tipo Monica Vitti tipo Sophia Loren tipo Nino Manfredi. Un po’ con quelli lì mi mancava il fiato, lo confesso…ma come avrebbe potuto essere altrimenti? Con Monica Vitti di più perché segretamente un po’ ne ero innamorato e non seppi dirle di no quando mi chiese anzi mi impose di accompagnarla con la chitarra in una trasmissione televisiva nella sua famosa canzone dei crauti…due accordi e basta, no non mi piaceva l’idea era troppo basico elementare troppo poco asimmetrico ma non seppi dirle di no, era divina.

Io non capisco la gente che non gli piacciono i crauti, io non capisco la gente che si meraviglia che un chitarrista sia anche un attore e o viceversa.

Io per conto mio spesso mi chiedo se sono un chitarrista che recita o un attore che suona, e sono contento di non trovare risposta.

No, non canto e non faccio neanche il cantautore, anche se qualche canzone pure l’ho scritta. Io suono e basta, la chitarra classica, sono un solista e faccio cose mie, sono l’autore e l’esecutore di me stesso. La gente “che non gli piacciono i crauti” ha bisogno di essere rassicurata attraverso le definizioni, mi spiace sono dolente non posso far niente per loro.

Ma sì ho fatto di tutto. Serie tv alcune di successo altre meno, spettacoli teatrali, alcuni belli altri meno, altri persino storici come “Ferdinando” di Annibale Ruccello dove io appunto facevo Ferdinando. Radio, cose nobili e “marchette”, già viverci del mestiere dell’attore è un privilegio e una fortuna. A meno che uno, tipo me, non è così irrequieto ad un certo punto da decidere di scegliere di insegnare recitazione per quasi dieci anni nella scuola dove ha studiato una ventina d’anni prima. Una bellissima esperienza, gli allievi mi hanno così tanto amato (ed io loro) che poi all’alba del decimo anno non mi hanno chiamato più ad insegnare, niente di nuovo niente di strano all’era dei contratti a tempo determinato. Ed è proprio in quel periodo lì che un incidente mosse qualcosa. Stavo camminando per strada, per l’esattezza a via Costantino Morin nel quartiere Prati dove stavo andando a registrare un “oversound” (ndr voce fuori campo) per una trasmissione televisiva.

Mi è sempre piaciuto guardare i palazzi, lì in quel quartiere ce ne sono di bellissimi e io ho l’inveterata abitudine di camminare a testa alta, non l’avessi mai fatto quella volta. Improvvisamente inciampai in una aiuola vuota del suo albero e per non cadere faccia a terra presi inconsapevolmente velocità con le gambe e andai a sbattere con la testa sulla vetrina di un bar poco distante, per proteggermi la testa istintivamente misi le mani avanti. Un dolore terribile una botta di quelle da shock, per non parlare dello stordimento. Ma le mani, mi facevano male le mani, si erano gonfiate in modo preoccupante andando a sbattere sulla vetrina. Non riuscivo più a muoverle. Immaginando i tempi biblici di attesa che avrei dovuto sopportare in uno dei Pronto Soccorso di una città caotica come Roma decisi di tornarmene a casa in taxi e la prima cosa che feci nonostante il dolore e i giramenti di testa fu quella di tirar fuori la chitarra dalla custodia per vedere se le mani funzionavano ancora, nonostante l’unghia del pollice destro mi si fosse spezzata per l’urto. Avevo male, non riuscivo più a suonare. E decisi di contattare uno studio privato di radiologia per fare accertamenti. Fortunatamente il giorno successivo il dolore alla testa nonostante il bernoccolo si attenuò, e andai a fare rx e ecografia alle mani. Tutto ok, solo qualche versamento. Il radiologo mi rassicurò dicendomi che nel giro di una decina di giorni sarebbe passato tutto, anche il gonfiore, giusto il tempo di far assorbire gli ematomi. Che paura, poi da solo a casa senza dir niente a nessuno…  per dignità. Tutto bene per fortuna, e appena sentii le mani sciogliersi e l’unghia del pollice ricrescere sana andai subito alla ricerca di una chitarra nuova, e dopo un po’ ne comprai una. Volevo vita nuova mani nuove unghie nuove legno nuovo corde nuove musica nuova profumo di vernice nuovo. E così ho ripreso a fare quello che ho sempre sentito di fare, cioè le cose mie, la mia di musica, perché se c’è un minimo di correlazione con il mestiere dell’attore è proprio il racconto. Questo mi interessa e questo sento di fare quando suono: raccontare, facendo accadere il racconto. Certo non escludo, e già da ora suono anche brani non miei, ma devo metterci il mio modo di sentire, la mia asimmetria. Pian piano ho messo su il mio repertorio ho trovato teatri e sale che mi hanno ospitato per i miei concerti sia a Napoli che a Roma. Ho avvertito sempre l’apprezzamento sincero del pubblico dei musicisti dei chitarristi, e solo dopo, in un secondo momento ho deciso di incidere il mio Cd “Sconcerto per chitarra sola”, dove ci sono io che suono i miei brani.

Continuerò a scrivere le cose mie continuerò a suonare e ad esibirmi in pubblico, non è giusto che tenga tutto solo per me, davvero …e se magari a qualcuno non piace la mia musica non fa niente, comunque lo ringrazierò di essere venuto ad ascoltarmi.

Sono tornato una volta per caso in via Costantino Morin e mi sono fermato davanti alla vetrina del bar dove andai a sbattere, cercavo le mie impronte, non le ho ritrovate, stavano già sulle corde della chitarra nuova ma ora col tempo con l’usura con le ore le ore e le ore quelle sono ormai svanite, devo assolutamente comprare un’altra chitarra.

di Pierluigi Cuomo