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Il porto di Salerno nel mercato globale. Intervista al presidente Gallozzi

by Flavio Cioffi
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La recente nascita della rete portuale regionale si è dimostrata una concreta opportunità di sviluppo reale dell’economia del mare che così tanta importanza riveste in Campania, in termini di posti di lavoro, di ricchezza prodotta, di sviluppo sia commerciale che turistico. In questo quadro il porto di Salerno occupa una posizione strategica e rappresenta un’eccellenza non sempre compresa appieno.

Proprio sulle pagine del nostro giornale, il presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar Tirreno centrale, Pietro Spirito, ha scritto della necessità di costruire una squadra tra soggetti pubblici e soggetti del mercato, rispettando e valorizzando il ruolo di tutti.

E allora ci siamo messi in macchina e siamo andati a Salerno a sentire come la pensano i protagonisti dell’economia del mare, a farci spiegare lo stato dell’arte, e abbiamo scelto di parlare con Agostino Gallozzi, presidente dell’omonimo Gruppo, operativo dagli anni ’50 del secolo scorso, che con i suoi 350 dipendenti è il primo datore di lavoro del porto.

Presidente, si parla spesso dell’Italia come di una piattaforma logistica naturale nel Mediterraneo, ma qual è in realtà il nostro mercato internazionale?

Partiamo dal presupposto che il mondo globalizzato è una realtà pienamente dinamica e operativa sin dagli inizi degli anni 2000, quando si è verificato un importante trasferimento di attività produttive in Oriente con il tentativo di mantenere in Occidente i mercati di consumo. L’Europa ha diminuito la propria capacità produttiva e di esportazione nell’illusione di poter produrre altrove e consumare da noi.

Questo assetto ha subito un primo scossone con la crisi finanziaria del 2008, che ha modificato gli scenari mondiali. La crisi, nata negli Stati Uniti, si è manifestata anche da noi in Europa a causa di una stretta creditizia che ha determinato un minor accompagnamento della finanza alla produzione ed ai consumi. In questo modo è risultata accelerata la riduzione dei consumi stessi e di conseguenz anche la nostra capacità di importazione ne ha risentito, inducendoci a renderci conto che la chiave di volta è quella di essere grandi produttori ed esportatori. D’altro canto, l’Italia è il secondo paese manifatturiero d’Europa, dopo la Germania, ed è un grande esportatore.

Quando si parla, quindi, di scenario orientato al Mediterraneo, a mio avviso, si ha una visione parziale della realtà, perché non è esatto pensare che l’Italia abbia come riferimento principale soltanto il Mediterraneo. Ovviamente è la zona a noi più vicina, ma l’Italia ha, in realtà, come scenario di riferimento il mondo. Bisogna entrare in questa ottica, come economia italiana, come società italiana, come sistema Paese. Affermare che l’Italia abbia la vocazione ad essere una grande piattaforma logistica nel Mediterraneo, in realtà esprime una visione certamente riduttiva delle nostre potenzialità.

 Questo discorso vale anche per la Campania? Esportiamo significativamente oltre il Mediterraneo?

Noi come Salerno Container Terminal e come Gruppo Gallozzi lo facciamo ogni giorno. La nave alle sue spalle, per esempio, trasporta merce verso l’estremo Oriente, gli Emirati, verso un mondo molto più ampio. Verso Paesi che hanno capacità di spesa, perché il Made in Italy ha un raggio di penetrazione molto ampio: Nord Europa, Stati Uniti, Canada, anche la Cina e l’estremo oriente.

Dobbiamo creare prodotti che siano riconoscibili come appartenenti a quella che mi piace definire Italian Way of Life, nel senso che dobbiamo aggiungere al valore materiale del bene, che deve essere competitivo – cioè rapporto giusto tra costo finale al consumatore ed alta qualità –  la forza straordinaria del nostro brand che ha molto appeal sui mercati internazionali. E’ necessario, quindi, puntare a quei mercati che apprezzano il nostro prodotto sia rispetto al suo valore materiale che a quello immateriale, ossia lo stile di vita italiano.

Tutto questo avviene soltanto nell’ambito del Mediterraneo? Obiettivamente no. Dire che siamo calati nel Mediterraneo dal punto di vista geografico è fuor di dubbio. Dire che la sponda mediterranea sia il nostro mercato di riferimento è frutto di una visione che non tiene sufficientemente conto della globalizzazione dell’economia.

 Qual è il ruolo specifico della Campania e della sua portualità?

Bisogna sempre guardare alla strategia Paese e chiedersi innanzitutto cosa sia più utile e conveniente per l’Italia. Noi siamo un grande Paese manifatturiero che dialoga con il mondo ed ha la necessità, evidente, di aumentare il suo PIL vendendo di più sui mercati internazionali. Ha, quindi, bisogno di una rete di regional port in grado di accompagnare competitivamente la sua produzione. In Campania esiste già una forte realtà industriale che guarda ai mercati esteri: siamo una regione esportatrice e la portualità è una leva di sviluppo fondamentale in questo ambito di riferimento.

 Come giudica gli investimenti in atto nella rete portuale italiana?

Gli investimenti devono essere proporzionati all’interscambio che può generare una determinata area. Quindi è fuor di dubbio che il Nord-Ovest, più ancora che il Nord-Est, cioè Genova, abbia alle spalle le regioni più forti dal punto di vista della produzione e anche dei consumi. E’ chiaro che sia necessaria una portualità maggiormente strutturata anche dimensionalmente rispetto al Centro-Sud. Ma non bisogna immaginare che la crescita di un porto determini automaticamente l’aumento dei traffici portuali, perché i porti hanno una funzione di accompagnamento della capacità di un’area di sviluppare produzione e consumi.

 Allo stato, dal suo punto di osservazione intravede un rapporto equilibrato tra infrastrutture portuali e capacità produttiva?

Al Nord c’è sicuramente un eccesso di offerta di spazi portuali che probabilmente determinerà conseguenze sulle dinamiche di mercato in atto. Al Sud ci sono programmi di adeguamento a Napoli e a Salerno che vanno ormai individuati come un vero e proprio sistema portuale in corso di piena integrazione.

 Ma cos’è esattamente un sistema portuale?

I porti hanno una regia istituzionale che non ha funzioni operative in maniera diretta, ma è chiamata a mettere in campo la migliore infrastrutturazione possibile, che oggi nel caso della direttrice Napoli-Salerno si articola, ovviamente, su un’area più ampia rispetto al passato. L’organizzazione istituzionale, quindi, non guarda più solo al porto di Napoli o a quello di Salerno, ma si occupa di offrire servizi competitivi ad un’area più vasta che va anche oltre la regione Campania: verso Nord, il primo porto che incontriamo dopo Napoli è Civitavecchia e verso Sud, dopo Salerno, è Gioia Tauro. L’area di influenza comprende anche il basso Lazio e l’alta Calabria.

All’interno di questo sistema vi sono gli operatori commerciali che gestiscono in concessione le attività di movimentazione delle merci, in un quadro di libera concorrenza non tra porti, ma tra aziende. Questo significa che il passaggio alla logica di sistema attiva l’effetto-moltiplicatore perché aumenta l’offerta.

 Come giudica l’Autorità Portuale di Sistema?

Prima che entrasse nelle sue funzioni nutrivo qualche perplessità. Alla prova dei fatti, il presidente Spirito ha dimostrato di gestire bene il sistema, facendo giustizia del paventato “accorpamento” che dava l’idea che si volesse mortificare una struttura a vantaggio di un’altra. Sistema significa, invece, rispettare le individualità moltiplicandone le potenzialità. Ed è su questa strada che ci siamo incamminati.

 Qual è la mission del porto di Salerno?

Salerno guarda molto alle esportazioni, è un porto tradizionalmente export oriented. I volumi di merci movimentati a Salerno sono importanti. Salerno sviluppa molto traffico-cargo, non ha un centimetro quadrato dei piazzali che non sia destinato alla movimentazione delle merci. Napoli invece ha la cantieristica, le crociere, i traghetti, i petroli.

 Il ruolo dei terminalisti indipendenti?

Il terminalista è il soggetto che ha l’esercizio dell’attività di movimentazione delle merci all’interno del porto. Organizza tutte le attività di imbarco e sbarco, ricezione e consegna delle merci, interlocuzione con le compagnie di navigazione, offre servizi alle aziende e, nello stesso tempo, cerca di attrarre le compagne di navigazione per attivare linee commerciali verso il più ampio numero di destinazioni raggiungibili.

Noi, come Gruppo Gallozzi, abbiamo da poco celebrato i primi dieci anni della nostra sede operativa a Shangai, siamo presenti in Inghilterra da sempre, abbiamo aperto in Turchia e continuiamo il percorso espansivo nelle destinazioni che riteniamo strategiche a livello globale. Le prossime tappe saranno la Spagna e la Germania

 Eppure, lei ha investito sul Marina d’Arechi e cioè nel turismo.

Un Paese di 60milioni di abitanti non può pensare di crescere puntando solo sul turismo, però il turismo è un comparto non secondario della nostra economia. La componente manifatturiera ha come corollario, rispetto all’economia del mare, il porto commerciale, quella turistica gli scali marittimi per il diporto. Noi, come visione d’impresa legata appunto al mare, abbiamo inteso posizionarci su tutte e due le gambe dello sviluppo economico del nostro Paese.

Anche il turismo deve guardare alla globalizzazione. Il Marina d’Arechi risponde perciò a un approccio infrastrutturale di alta qualità, frutto di un investimento, interamente privato, molto importante, ad oggi circa 85 milioni di euro. L’iniziativa è molto bene avviata, abbiamo circa 600 barche all’ormeggio rispetto ai mille posti disponibili e prevediamo un trend di sviluppo costantemente positivo. L’anno scorso siamo cresciuti del 22%, la stima per il 2018 si attesta ad un più 29%.

 Un appello finale.

Auspico che la Pubblica Amministrazione si renda conto che dai suoi comportamenti deriva la capacità del Paese di crescere più o meno velocemente. Abbiamo il grande problema, non più sostenibile, che deriva dalla divaricazione delle velocità, tra l’economia globale, che cammina molto molto velocemente e alla quale le imprese devono adeguarsi se vogliono competere, e la burocrazia italiana che è rimasta indietro di molte decine di anni. Non è possibile che per fare un dragaggio, un ponte, una galleria, una strada occorrano tempi infiniti. Nel rispetto delle norme occorre dare tempi certi che oggi non ci sono.

L’Autorità Portuale è una risposta positiva, ma è costretta anch’essa ad affrontare mille difficoltà nel velocizzare i percorsi autorizzativi necessari alla realizzazione delle opere. E’ un handicap che non ci possiamo più permettere.

di Flavio Cioffi