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La voce del Griot

by Piera De Prosperis
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Lo scorso 6 settembre al Museo Archeologico di Napoli, nel giardino delle fontane, si è tenuto il concerto della Djelikan Kouyatè band, la Voce del Griot dal Mali al Mediterraneo, in occasione della rassegna “Una sera al Museo. Giovedì d’estate al Mann“. E vale la pena scrivere la recensione di un avvenimento musicale di nicchia? Penso di si per una serie di motivi. Innanzitutto, per la possibilità di visitare il Mann a partire dalle 19,30 con ticket speciale di due euro che consente l’accesso a tutte le collezioni permanenti e le esposizioni temporanee. Una iniziativa davvero lodevole che tenta, ancora una volta, di avvicinare il pubblico agli immensi e spesso sconosciuti tesori d’arte della città. Ma veniamo al concerto. Ci sono andata su proposta di amici, incerta ma curiosa “la musica del Mali?” “il Griot?”.

Ho imparato, invece, che la figura del Griot riveste un ruolo essenziale nella tradizione storica africana, è un poeta cantore che conserva e trasmette la tradizione orale degli antenati. Il Griot del concerto era il polistrumentista Bifalo Kouyate con la cantante flegrea Loredana Carannante.

La band ha proposto le antiche ballate del Mali, favole piene di tenerezza e suggestioni che, attraverso simboli facili ed accessibili spiegano il senso della vita. Ma quello che ad un certo punto è apparso chiaro a tutto l’uditorio è stata la forte somiglianza dei ritmi africani con quelli della tradizione musicale dell’Italia mediterranea: la tarantella, la pizzica, le nacchere, l’uso insistito delle percussioni, il canto delle lavandaie del Vomero. Si è creata una magica fusione di ritmi, suoni e culture. La bella voce della Carannante, chiudendo per un attimo gli occhi, sembrava quella di una cantante napoletana che si esibiva in un dialetto non proprio comprensibile. Accompagnavano i suoni, le danze di due ragazze Caterina Vermicelli e Monica Moroni: ci saremmo aspettati, delle danzatrici maliane, invece che italiane, ma anche questo era in linea con il progetto iniziale.

Non c’è differenza di colore quando la cultura, nello specifico la musica, riesce a ricucire quella rete di relazioni che ci rende umani. Sulla spinta della band noi spettatori abbiamo cantato, Jo djallia allahleka djallia da, qualcuno ballava, insomma il clima è diventato molto piacevole. Le contaminazioni nell’area musicale del Mediterraneo non sono certo una novità: nel più recente passato ricordiamo Creuza de ma di De Andrè interamente cantato in genovese, per molti secoli uno dei principali veicoli linguistici nell’ambito della navigazione e degli scambi commerciali; Pino Daniele definito cantore mediterraneo senza confini. I grandi della musica sanno bene quanto di comune c’è nella tradizione del mare nostrum, da sempre un bacino di raccolta e scambio tra popoli.

C’è bisogno di ulteriori commenti? Bisogna ripartire dalla cultura per fermare ogni rigurgito di intolleranza e bieco suprematismo. La scuola, certo, ha un ruolo fondamentale, ma anche la musica, la cinematografia … tutto ciò che ci può indurre a pensare agli altri come simili, pur nella necessaria diversità, deve avere risonanza e diffusione … e un grazie alle mie amiche per la bella serata!

di Piera De Prosperis