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“Montparnasse, Femminile Singolare”, la commedia che non decolla

by Carla Lauro
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Debutto alla regia della trentaduenne francese Léonor Serraill, “Montparnasse, femminile singolare“ è una commedia dallo sguardo sincero e disincantato nei confronti della vita.

Vincitore della Caméra d’or come migliore opera prima al 70° Festival di Cannes, il film ci presenta Paula, una giovane donna abbandonata dal suo compagno ed in preda alla propria fragilità emotiva, alla ricerca di stabilità ed equilibrio in una Parigi dispersiva ed ostile.

Il film inizia con una profonda crisi e ci introduce immediatamente nel lento e tortuoso percorso della giovane donna verso la conquista di una nuova libertà.

Completamente sola, senza soldi, persa nella grande metropoli, Paula inizia a vivere “alla giornata” fra alloggi di fortuna e favori ricevuti da personaggi bizzarri, intraprendendo un percorso di risalita attraverso un nuovo lavoro, qualche bonario inganno ed un approccio più cinico e consapevole nei confronti della vita.

Focalizzandosi sul personaggio della trentunenne Paula nella Parigi dei tempi nostri, “Montparnasse, femminile singolare”, fa emergere la profonda incertezza del presente accentuata dalla precarietà della crisi economica. Il panorama sociale che si para davanti a Paula è segnato da un ricercato individualismo, nel quale la ragazza fa inizialmente fatica a riconoscersi. A poco a poco, però, Paula rientra in sé, riappropriandosi di solidità ed obiettivi, riscoprendo innanzitutto l’amor proprio, che dà sicurezze e prende il posto della dipendenza da sentimenti non corrisposti e legami tossici.

Il suo amore generoso verso il mondo rimane invariato ma impara a far tesoro dell’esperienza e a canalizzare i suoi sbalzi emotivi verso il miglioramento della sua posizione e del suo futuro.

Ciò che conquista di questo film è, sicuramente, il tono leggero con cui viene dipinto il dramma di una donna comune che soffre, si dispera, sanguina e, gradualmente, si rialza e non si arrende davanti alle innumerevoli difficoltà che incontra, proprio perché ama visceralmente e riesce, nonostante le sue profonde ferite, a reiventarsi e a trovare la sua strada.

La matrice ideologica della storia, la sua urgenza di raccontare la condizione di una giovane donna nella Francia contemporanea e i problemi che affronta nel vivere in un mondo che è ostile alla sua indipendenza ed alla sua eccentricità, ci arrivano senza appesantire il film.

Colpisce della regia di Léonor Serraille la costruzione di un’opera che conserva un suo tratto di originalità, quello cioè di trasformarsi repentinamente da disperato dramma psicologico in garbata commedia, seguendo un percorso di progressiva ed inaspettata luminosità.

Lo spettatore resta sì coinvolto nel disastro della complessa vita di Paula ma, diciamolo, anche un po’ smarrito e disorientato.

Tutto questo perché il film sembra non decollare mai completamente, quasi come se la regia si perda, talvolta, al pari della difficile esistenza della protagonista.

Laetitia Dosch, interprete di Paula, è formidabile nella sua performance ma non riesce a compensare le lacune dell’autrice che mette il cuore nella sua storia ma finisce spesso per girare a vuoto.

Il film, infatti, conserva una sua intrinseca frammentarietà, dove spesso le situazioni s’interrompono, non si risolvono in modo lineare, o tutt’al più trovano una soluzione ritardata.

La sensazione che si prova, durante tutta la proiezione, è quella di un’eterna aspettativa.

Ci si affeziona al personaggio di Paula e si immagina sempre che possa esserci qualche colpo di scena che ribalti realmente lo stato delle cose.

Al contrario ci si deve necessariamente arrendere alla staticità degli eventi e l’unica vera sorpresa è rappresentata dai titoli di coda che lasciano un po’ stupiti e pieni di interrogativi.

di Carla Lauro