Foto by Amnesty International Schweiz
Sul CorSera di ieri, 25 maggio, Walter Veltroni ha lanciato un accorato appello alla politica e alle istituzioni del mondo affinché mettano fine al silenzio sulla tragedia di Gaza. Ovvio che il destinatario dell’appello, insieme all’UE, sia il governo italiano. Che proprio silente non è, ma certamente si tiene prudente.
“Non sarebbe difficile – chiarisce Veltroni – presentare una piattaforma ragionevole in cinque punti: la fine della guerra scatenata dal premier israeliano con l’obiettivo di annientare un popolo e occupare militarmente il territorio di Gaza; la condanna più severa nei confronti dell’orrore perpetrato dai terroristi di Hamas; il cessate il fuoco immediato; la liberazione degli ostaggi; la ripresa, subito, della fornitura degli aiuti umanitari alla stremata popolazione di Gaza”.
Dunque, al primo punto “la fine della guerra scatenata dal premier israeliano” e solo al quarto “la liberazione degli ostaggi”.
Magari non sarà stato questo l’intento dell’autore, ma l’ordine dell’elencazione dei punti lascia trasparire due convinzioni, entrambe fuorvianti: che la guerra sia stata scatenata da Netanyahu e che la liberazione degli ostaggi sia un corollario tutto sommato di second’ordine per la fine della strage.
Non è così, la tragedia di Gaza è stata premeditata, progettata, infine provocata da “l’orrore perpetrato dai terroristi di Hamas” il 7 ottobre 2023. Quella del governo israeliano è stata una ritorsione violenta, feroce finché si vuole, anche criminale certo, ma è venuta dopo quell’orrore, non prima. La storia e la politica non rispondono a logiche aritmetiche, non vale la proprietà commutativa per la quale cambiando l’ordine degli addendi la somma non cambia. La vita reale è un’altra cosa.
A Gaza l’ordine dei fattori vede al primo posto la strage del 7 ottobre; poi l’uso criminale dei civili come scudi umani da parte di Hamas; poi ancora l’utilizzo degli ospedali, scuole, finanche sedi dell’ONU come arsenali per le proprie armi da parte sempre di Hamas; infine la ferocia dell’IDF agli ordini del macellaio di Tel Aviv. Questo è l’ordine cronologico e politico degli addendi. Se non ci fosse stato il 7 ottobre la ‘somma’ sarebbe stata ben diversa. Forse Israele e Arabia Saudita avrebbero finanche sottoscritto il trattato di pace e di reciproco riconoscimento.
E c’è persona assennata nel mondo che non sappia che tutto cambierebbe dal mattino alla sera qualora Hamas liberasse senza condizioni gli ultimi ostaggi sopravvissuti e restituisse alle rispettive famiglie i corpi di quelli che ha trucidato? Quanta forza in più avrebbero le istituzioni mondiali e i governi, in gran parte inorriditi dai massacri di Gaza, se Israele non avesse come alibi l’ostinata determinazione di Hamas a detenere sotto sequestro quei liberi cittadini catturati mentre stavano ballando in un party? Non dice niente a Veltroni che finora, salvo la cordata degli ayatollah sanguinari di Teheran, nessun governo dei Paesi arabi si sia risoluto a minacciare l’uso della forza contro Israele o abbia ora in animo di farlo?
Ecco, l’ordine dei fattori va invertito. Si formi subito una coalizione mondiale, magari sotto egida ONU, con l’obiettivo di liberare gli ostaggi, meglio se tenendone fuori Israele. Una volta liberate le vittime dell’orrore di Hamas, si facciano i conti con i crimini di Netanyahu e dei suoi complici, processandoli ai sensi delle imputazioni definite dalla Corte Penale Internazionale. Si affidi quindi il governo di Gaza all’Autorità Nazionale Palestinese. Si esiga da quest’ultima il riconoscimento del diritto di esistere per Israele e da Israele quello dello Stato Palestinese. Ai due governi così instaurati, infine, si affidi il compito ineludibile di stanare i terroristi di Hamas ancora in armi e di processarli ai sensi delle norme del diritto internazionale.
Utopia? Sì. Non ci sono le condizioni politiche? Senz’altro. Ma, appello per appello, per lo meno mettiamo in ordine le cose.