La Citazione è da “Dai Tienappel. E della condizione morale di Hans Castorp”, nel secondo capitolo della ‘Montagna magica’, reso nella magnifica traduzione di Renata Colorni, che ha definitivamente archiviato il vecchio titolo italiano: ‘La montagna incantata’. “Il 15 maggio 1912 Thomas Mann giunse a Davos. L’intenzione era di far visita alla moglie, a cui i medici avevano diagnosticato la tubercolosi, presso un sanatorio del luogo. Ma anche lo scrittore aveva bisogno di ristabilirsi” (Michael Neumann). Inizialmente Mann concepisce ‘La montagna magica’ come un breve racconto ‘facile e umoristico’, ma, ripreso dopo l’nterruzione dovuta alla Prima guerra mondiale, ‘La montagna magica”, da ‘romanzo di formazione’ (‘Bildungsroman’) del giovane Hans Cartop, diviene il riflesso di un’epoca: “Gli uomini sono bensì determinati dalla loro psicologia sociale, ma si trovano al di fuori del loro normale ordito di legami sociali. Si ha così un simbolo ironico della descrizione della società nell’imperialismo tedesco” (György Lukács).
«Recava con disinvoltura e non senza dignità sulle proprie spalle la superiore civiltà che il ceto dominante delle democrazie commerciali cittadine trasmette in eredità ai suoi figli. Era sempre fresco di bagno come un pupo e si faceva vestire dal sarto in cui i giovani del suo ambiente riponevano la loro fiducia (…). Le sue mani, benché di forma non troppo aristocratica, erano curate, la pelle fresca, e adorne di una vera in platino e dell’anello con sigillo ereditato dal nonno, mentre i denti, piuttosto deboli e rovinati in più punti, avevano otturazioni d’oro.
(…) Chiunque può rendersi conto che badiamo a dire di lui tutto quanto possa guadagnargli qualche simpatia, e tuttavia lo giudichiamo senza entusiasmo eccessivo e non lo facciamo né migliore né peggiore di come in effetti era. Hans Castorp non era un genio, ma neppure uno stupido, e se per qualificarlo evitiamo la parola «medio» è per motivi che nulla hanno a che fare con la sua intelligenza e ben poco con la sua pura e semplice persona, ma piuttosto per rispetto del suo destino, cui siamo inclini ad attribuire un certo significato che va al di là della sua stessa persona.
(…) L’essere umano non vive solo la sua vita di singolo individuo, bensì, consciamente o inconsciamente, anche quella della sua epoca e dei suoi contemporanei, e quand’anche dovesse considerare i fondamenti universali e impersonali della propria esistenza come un dato incondizionato e inequivocabilmente garantito, e quand’anche fosse tanto lontano dall’idea di volerli criticare quanto lo era in effetti il buon Hans Castorp, pure sarebbe ben possibile che egli sentisse il proprio benessere morale vagamente compromesso dalle loro manchevolezze. Il singolo essere umano può contemplare le più diverse mete, intenzioni, speranze, prospettive personali, da cui attinge l’impulso a rivolgersi a sforzi e attività superiori; ma se l’impersonale intorno a lui, l’epoca stessa in cui vive, ad onta di tutta la sua esteriore alacrità, rinuncia in fondo alle speranze e alle prospettive, se in segreto gli si mostra disperata, disillusa, sgomenta, e alla domanda posta consciamente o inconsciamente, ma pur sempre, in qualche modo, posta, intorno al senso ultimo, sovra personale, incondizionato di ogni sforzo e attività risponde soltanto con un vacuo silenzio, ecco che allora, proprio quando si tratti degli uomini più probi, sarà quasi inevitabile che questo stato di cose sortisca un certo effetto paralizzante che, a cominciare dalla vita psichica e dal senso morale, può estendersi fino alla componente fisica e organica dell’individuo. Perché ci si possa applicare a opere più significative, eccedenti la misura di ciò che semplicemente è prescritto, qualora l’epoca in cui si vive non sia capace di offrire una risposta soddisfacente alla domanda «a qual fine?», occorrono o una solitudine e un’intransigenza morali quali si incontrano di rado, essendo proprie delle nature eroiche, o una vitalità assai robusta. Ma né l’uno né l’altro era il caso di Hans Castorp, e dunque in effetti egli era medio, detto però con il massimo rispetto.»
Thomas Mann, La montagna magica.