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Bobbio e Togliatti, uno scontro attuale

La democrazia valore universale, ma in una civiltà globale di pace

by Bruno Gravagnuolo
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Nel 1954 fu scontro al calor bianco tra Togliatti e Norberto Bobbio sulla libertà. Sull’onda della morte di Stalin e alla vigilia del krusciovismo. Oggi arriva una bella raccolta su quello scontro a cura di Michele Ciliberto: “Sulla libertà”, ed. Normale di Pisa 2025. Per intendere la quale però è necessaria qualche premessa storica più ampia. Vediamo.

Il 1954 segna l’avvio della destalinizzazione. Stalin muore nel marzo 1953. Qualche anno prima c’era stato il caso Vittorini che culminò con l’uscita dello scrittore dal Pci e la chiusura del “Politecnico”. Il 1953 poi fu l’anno della battaglia contro la legge truffa, con la maggioranza del 50% più uno la coalizione vincente avrebbe preso il 65% alla Camera, e ieri come oggi la democrazia era in pericolo perché il vincente avrebbe potuto cambiare la Costituzione senza colpo ferire e senza referendum confermativo. Cominciando da Montecitorio.

Ed era pure il tempo in cui l’idea della messa fuori legge del Pci aveva largo corso a destra e al centro. Dunque il Pci, decisivo nel non far scattare quella legge, era al contempo fattore di libertà civile e insieme però legato a Mosca benché in chiave autonoma. E quindi un serio problema si poneva sul contrasto nel Pci tra sua funzione liberale e leninismo dispotico delle origini. Ecco il motivo della provocazione di Bobbio.

Nel tempo tuttavia, con le scelte concrete e ideali del Pci, quel contrasto si sanò del tutto, poiché i comunisti assunsero via via con chiarezza il tema del pluralismo politico e della “democrazia come valore universale”. E le premesse – prima ancora della proclamazione nel 1974 di Berlinguer di quel valore – erano già nel ruolo costituente del Pci nella democrazia italiana, nella via parlamentare, nel memoriale di Yalta del 1964 lasciato da Togliatti, e nella condanna della invasione sovietica di Praga con Longo.

Ciò nondimeno persistevano negli anni ‘50 ambivalenze nella posizione del Pci sul tema della libertà. Specie con i fatti di Ungheria del 1956. Bobbio su “Nuovi Argomenti” lancia nel 1954 l’offensiva liberal socialista: la libertà – scrive – è garanzia del governo delle leggi contro l’arbitrio degli uomini. Essa è irrinunciabile, sia come valore che come procedura di governo e argine di garanzia per le minoranze. Insomma senza libertà non c’è democrazia. Né socialismo.

Inoltre per Bobbio essa è presidio dell’autonomia della cultura che non è indifferente alla politica ma deve rimanerne distinta.

Sono cose ovvie ormai, capisaldi assodati, eppure all’epoca non era così. Perché il marxismo teorico era fortemente critico delle libertà formali, e lo stesso Togliatti – machiavellico Roderigo di Castiglia su “Rinascita” – nel difendere l’Urss ribadiva l’astrattezza borghese di tali libertà, svincolate dalla eguaglianza sociale, nesso realizzato come pareva di poter affermare sul socialismo di allora. Bobbio ebbe buon gioco nel ribadire su “Nuovi Argomenti” che le cosiddette libertà borghesi erano un termine di non ritorno storico, e che senza libertà civili e politiche ogni socialismo degenerava in dispotismo negatore della stessa eguaglianza, come di fatto avveniva in URSS, eroica contro il nazismo e nondimeno dispotica e segnata da tragedie immani.

Alla discussione partecipò anche Galvano della Volpe, all’epoca concorde con Togliatti e avverso alla idea Cristiana umanistica della “persona valore”, ma che dieci anni dopo al culmine di una lunga revisione approdò alla idea della legalità socialista, dell’inevitabile conflitto tra individui di diversa natura e aspirazioni, di differenti meriti e dunque conflittuali e bisognosi di libertà e Stato di diritto. Stato pluralista mediatore, in politica come nelle leggi.

E quindi alla fine, in questa lunga diatriba, Bobbio risultò vincitore alla lunga, e la sua vittoria fu certificata dallo stesso Pci e dai suoi intellettuali.

Nessuno oggi infatti revocherebbe in dubbio il trinomio Socialismo Giustizia e Libertà, da declinare nella società e nello Stato, nella politica e nell’ economia. Nel segno di una sinistra opposta alla destra – come scriveva Bobbio nel celebre “Destra e Sinistra” (Donzelli, 1994) – in virtù di una eguaglianza proporzionale ai meriti e ai talenti individuali, messi al servizio del benessere e della libertà reale di tutti. Ma torniamo alla polemica di allora.

Ebbene uno dei temi chiave, come ricorda anche Luciano Canfora sul Corriere della Sera (11/7/2025), fu il giudizio su Stalin e i suoi crimini. Nonché il paragone ancora rilanciato in Europa – e persino giuridicamente sancito! – tra Hitler e Stalin, Urss e Germania nazista. Bobbio si dissociò da tale paragone negli anni ‘50 poiché diceva che mentre il nazismo aveva distrutto l’Europa e precipitato il mondo nella barbarie, l’Urss viceversa aveva edificato una pur criticabile modernità su secoli di barbarie asiatica, contribuendo inoltre alla sconfitta del pericolo razzista e planetario del nazismo. Giustamente Canfora chiama a sostegno di questa idea persino il liberale Benedetto Croce che intravide nel bolscevismo – nella sua “Storia d’Europa” – una funzione liberatoria giacobina destinata ad essere rivalutata nel suo contesto e poi superata.

La storia però fu più complessa e il superamento del socialismo sovietico nel 1991 coincise non con un socialismo dal volto umano bensì prima con la catastrofe geo politica dell’Urss, e poi con un nuovo dispotismo nazionalista incoraggiato dalla revanche capitalista occidentale. Che assecondò le privatizzazioni selvagge.

Che dire in conclusione di questa antica disputa che resta attuale proprio in epoca di guerre e contese planetarie? E allorché la libertà è minacciata ovunque anche laddove – vedi Trump e sovranismi- ne si proclama il monopolio da parte occidentale in nome di una superiorità di civiltà? Alcune cose forse in via provvisoria. La prima è che la libertà di tutti e di ciascuno resta un valore e un ideale regolativo assoluto e acquisito. Che non si può imporla, pena un rinnovato dispotismo con alibi umanitario, come già scrisse Kant contro le furbizie imperiali di interesse. Che per allignare, la libertà deve inculturarsi e necessita di condizioni di tolleranza tra diversi mondi, radicati in differenti contesti geo storici. E che, come diceva Berlinguer con Bobbio, la democrazia è certo un valore universale. A condizione però che le sue basi materiali ed economiche possano svilupparsi. Ma in una civiltà globale di pace prima di tutto. Fondata sulla coesistenza pacifica tra culture e sistemi politici diversi. Che bandisca ogni egemonia e unilateralismo planetario foriero di tragedie negatrici della libertà.

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