Nel settembre del 1907, tornato a Trieste dopo un breve e tormentato soggiorno a Roma, James Joyce scrive ‘The Dead’. Ha solo venticinque anni e ‘I morti’ è l’ultimo racconto di ‘Gente di Dublino’: “una canzone ascoltata dai coniugi Conroy durante una festa natalizia a casa delle sorelle Morkan è l’occasione per sondare l’animo dei protagonisti, i ricordi e i rimpianti, l’urgenza dei desideri, l’assurdità del destino”. Anni addietro, Goffredo Fofi scelse di leggerne dei brani al ‘Salone del libro di Torino’, ne citiamo la parte conclusiva in omaggio al nostro amato ‘intellettuale militante’ scomparso, al ‘disperato creativo’: “Uno dei ‘miei’ morti più cari, Aldo Capitini, ha parlato di compresenza dei morti e dei viventi… Sì, i morti sono presenti, sono tra noi, e dovremmo tenerne ben conto noi vivi, angosciati dal dover muoverci dentro un presente preoccupante e avvilente come è quello dei nostri anni e del nostro Paese. Pensando ai nuovi nati e ai nuovi arrivati”.
«Era profondamente addormentata.
Gabriel, appoggiato su un gomito, guardò per alcuni minuti, senza rancore, i suoi capelli scarmigliati e la bocca dischiusa, e ascoltò il suo respiro profondo. Nella sua vita, dunque, c’era stata un’avventura, un uomo era morto per lei. Ora non gli dava quasi più pena pensare a quanta poca parte lui, suo marito, aveva avuto nella sua vita. La osservava mentre dormiva, come se lui e lei non avessero mai vissuto insieme come marito e moglie. I suoi occhi curiosi si fermarono a lungo sul volto e sui capelli di lei, e nel pensare a quella che doveva esser stata allora, al tempo della sua prima bellezza d’adolescente, si sentì pervadere da una strana, fraterna compassione per lei. Non gli piaceva ammetterlo nemmeno con sé stesso, che quel volto non era più così bello, tuttavia sapeva che non era più il volto per il quale Michael Furey aveva affrontato la morte.
Forse lei non gli aveva raccontato tutto. (…)
Il freddo della stanza lo fece rabbrividire. Con cautela, si infilò sotto le coperte, a fianco della moglie. Uno alla volta, tutti sarebbero diventati ombre. Meglio passare nell’altro mondo con animo forte, nel pieno di una passione, piuttosto che svanire e avvizzire malinconicamente con gli anni. Pensò a quella donna che gli giaceva a fianco, che per tanti anni aveva tenuto chiuso nel suo cuore il ricordo degli occhi del suo innamorato mentre le diceva che non desiderava vivere.
Lacrime generose riempirono gli occhi di Gabriel. Non aveva mai provato sensazioni simili per nessuna donna, ma sapeva che quel sentimento doveva essere amore. Lacrime più copiose gli velarono gli occhi e nella penombra gli parve di vedere la figura di un giovane in piedi, sotto un albero grondante di pioggia. Altre figure gli erano vicine. La sua anima aveva avvicinato la regione in cui dimora la folla sterminata dei morti. Ne era cosciente, ma non riusciva a coglierla, quella loro effimera e tremolante esistenza. La sua stessa identità si stava smarrendo in un mondo grigio e impalpabile, e lo stesso mondo materiale, il mondo sul quale quei morti avevano vissuto e procreato, si andava dissolvendo e rimpicciolendo.
Un lieve battito sul vetro lo fece voltare verso la finestra. Aveva ripreso a nevicare. Restò a osservare, assonnato, i fiocchi di neve, argentei e scuri, che scendevano obliquamente davanti al lampione. Era giunto il momento di mettersi in viaggio verso occidente. Sì, i giornali avevano ragione: nevicava su tutta l’Irlanda. La neve cadeva in ogni parte della bruna pianura centrale, sulle colline brulle, scendeva piano sulla palude di Allen e, più a occidente, calava lieve sulle cupe onde tumultuanti dello Shannon. E cadeva anche su tutto il solitario cimitero di campagna, là in cima alla collina dov’era sepolto Michael Furey. S’ammucchiava sulle croci contorte e sulle pietre tombali, sulle punte del piccolo cancello, sui cespugli brulli. E l’anima gli si velava a poco a poco mentre ascoltava la neve che calava lieve su tutto l’universo, che calava lieve, come a segnare la loro ultima ora, su tutti i vivi e i morti.»
James Joyce, I morti (trad. Marco Papi).