La recente vicenda di Milano ruota attorno a tre questioni-chiave, di cui due appaiono in grande evidenza mentre la terza – che a me pare sia il cuore dell’intera vicenda – è quasi del tutto trascurata.
La chiave di lettura giudiziaria
Dopo lunghe indagini la magistratura ha ritenuto di individuare numerose ipotesi di reato a carico di personaggi di spicco nella gestione urbanistica della città: dentro al Comune, il Sindaco e l’Assessore alla rigenerazione urbana in prima fila; fuori, tra i principali stakeholders del mondo delle costruzioni: archistar e immobiliaristi con relativo seguito.
Come suol dirsi la giustizia farà il suo corso e commentare le poche notizie – più o meno vere – che trapelano dagli ambienti giudiziari e giornalistici è un esercizio che nulla aggiunge e nulla toglie al percorso giudiziario, di cui si potrà parlare in maniera fondata solo alla conclusione, il che purtroppo avverrà tra molto tempo.
Per ora è più saggio astenersi da commenti, anche se non si può nascondere lo sconcerto nel sentir dire dal Presidente della Commissione Paesaggio del Comune che il fatto di astenersi dal votare su un progetto che lo riguarda personalmente è una scelta etica e non un obbligo, quindi nulla da eccepire a suo carico dal punto di vista giudiziario.
Il molto da eccepire è la profonda indignazione per il solo fatto che il signore in questione facesse parte di quella commissione e, contemporaneamente, esercitasse la professione di architetto a Milano. E’ possibile che la legge lo consentisse, l’etica pubblica certamente no, la dignità personale l’avrebbe dovuto escludere.
La chiave di lettura politica
Anche questa è continuamente in vista a diversi livelli – dal nazionale al locale – ed è caratterizzata da dichiarazioni che gareggiano tra loro per mancanza di argomenti su cui ha senso discutere: si tratta non di politica ma di “partitica”, ovvero difesa delle proprie posizioni a prescindere dal merito delle questioni.
Porto ad esempio la posizione di chi sostiene che il Sindaco Sala deve rimanere al suo posto ma cambiando radicalmente la politica urbanistica del Comune, che è come dire quasi tutta la politica espressa negli anni passati e sul quale è avvenuto l’inciampo giudiziario.
D’altronde il fatto che per sostituire il dimissionario assessore alla “rigenerazione urbana” si stia cercando al di fuori del mondo dei tecnici – urbanisti, architetti, ingegneri – fa capire che il Comune non ha proprio capito il significato di quella pratica urbanistica che, non a caso, è stata clamorosamente travisata.
La chiave di lettura urbanistica: un’idea di città
Mentre queste due questioni campeggiano nella comunicazione quotidiana, qualcuno si sta occupando dell’altra, vale a dire di come è stata pensata la trasformazione urbana di Milano?
Nessuno – salvo qualche sparuto commentatore per lo più orientato sulla linea delle magnifiche sorti e progressive dell’espansione, del consumo di suolo e dell’edificare più intensamente possibile, più in alto possibile – mentre viene ignorato il nodo cruciale della vicenda milanese che, peraltro, rischiava di diventare l’apripista di situazioni analoghe in tutto il Paese, come appariva evidente dalla proposta di legge “salva Milano”.
E’ un nodo che riguarda la risposta alla domanda: quale deve essere la prospettiva di trasformazione di una grande città come Milano, alla luce della sua storia passata, della sua conformazione recente, delle esigenze e delle aspettative dei suoi cittadini e dei grandi fenomeni – crisi climatica, transizione energetica, inverno demografico, sperequazioni economiche – che si stanno verificando e incombono sulle città?
Detto in termini più sintetici: qual è l’idea di città che si ha e che si vuole realizzare per Milano?
Con ogni evidenza l’elaborazione e l’attuazione di questa idea è il compito primario del Comune – di ogni Comune – che deve esercitare il diritto-dovere di governare la città e di farlo nell’esclusivo interesse dei suoi cittadini: questo è il compito storico dell’urbanistica.
E’ un compito che si esercita tramite gli strumenti canonici, primo fra tutti il Piano Regolatore: se ne hai uno lo devi rispettare, se non l’hai lo devi elaborare e approvare.
A Milano questo compito sembra essere stato del tutto eluso, sostituito da una idea di città non del Comune, non dei cittadini, ma di un ristretto club di persone frequentato da amministratori, funzionari, architetti e imprenditori che hanno ritenuto di averne la capacità e il diritto: che ne avessero il diritto è del tutto escluso; quanto alla capacità se ne dovrà parlare entrando nel merito della qualità architettonico-urbanistica di quanto realizzato in alcune zone cruciali della città.
Questa è la logica che ha guidato il fare urbanistica a Milano, al punto che si è sentito dire che stavano attuando un “vero” Piano Regolatore diverso da quello vigente dal 2020, chiamato PGT – Piano di Governo del Territorio, fatto bene o male che fosse.
Allora a Milano il compito primario di una Amministrazione che voglia abbandonare questa china indecorosa è quello di riappropriarsi del diritto di governare la città e di rispettare il dovere di farlo nell’esclusivo interesse dei cittadini.
Architetti e imprenditori facciano un passo indietro, il loro compito è di progettare e costruire, non certo di decidere dove, come e quando.
1 comment
complimenti Alessandro!una lucida e chiara risposta a ciò che appare ormai in troppi casi il “Comitato d’affari di pochi “,che si arrogano il diritto di decidere le sorti di una comunità urbana….sicuramente il tuo articolo può far riflettere i più che stanno in panchina ignorando le problematiche comuni….spero di rivederti presto e di scatenare con te la giusta indignazione di chi non si accorge neppure di far parte di una comunità che vive in una città senza partecipare alla sua gestione …..
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