Enrico Terrinoni è tra i maggiori studiosi esperti di James Joyce, e in questo suo magistrale studio che indaga i rapporti tra lo scrittore irlandese e il triestino Italo Svevo avverte di marcare un ‘topos’ oramai classico del dibattito letterario. La presentazione editoriale di ‘La vita dell’altro’ sottolinea che “è il racconto inedito dell’amicizia molto speciale tra due giganti del Novecento. Joyce, irlandese abbastanza ribelle che arriva in Italia perché ama la lingua e la cultura italiana, ma anche per fuggire da un’Irlanda sotto il doppio giogo dell’Impero britannico e della Chiesa cattolica, e Svevo, un signore di mezza età, di origini ebraiche, che dopo anni in banca lavora nell’industria di vernici per applicazioni subacquee della famiglia della moglie. Joyce insegna inglese, e si distingue subito a Trieste per i suoi comportamenti poco ortodossi. Svevo, bonario uomo di famiglia, si accorge di lui e inizia a frequentarlo, prima da allievo, poi da amico. Dal loro incontro nasce qualcosa. Si scambiano gli scritti e ammirano le rispettive opere”.
«30 gennaio 1924. Gare de Lyon, una tra le più belle stazioni della capitale francese, vicino a Place de la Bastille. Una stazione moderna, costruita per l’Esposizione universale del 1900. Svetta, a un angolo dell’edificio, una torre con il più grande orologio della città. Al suo interno c’è un irlandese che aspetta un treno, un treno che non arriverà. Affetta eleganza in maniera malcelata, il nostro signore: indossa un ampio vestito a nasconderne l’esile figura. Sembra un fuscello: si piega facilmente al vento, ma non si spezza mai. Ha un Borsalino in testa, in mano tiene un leggero bastone di frassino, e porta lenti spessissime, abituate a velare occhi stanchi e sofferenti. Quegli stessi occhi che avrebbero saputo scrutare “nel nulla” solo per scoprirvi un “bellissimo niente”.
Il nostro uomo aspetta un treno, ma il suo sguardo stanco non accoglierà il vecchio amico atteso: un triestino, da lui diversissimo in tutto, ma anche stranamente uguale. L’uomo che non arriverà ha folti baffi e veste in maniera accurata. Il portamento non è dinoccolato e indifferente come il suo. È un uomo di sostanza, lui. Sicuro di sé, ma solo all’apparenza. Dal sorriso sempre sornione, e più maturo. Vent’anni tra due uomini fanno la differenza. Un cappello a falda stretta nasconde la calvizie che tanto l’aveva preoccupato in passato, segno di senilità precoce. Una quindicina d’anni prima aveva bonariamente rimproverato la moglie per essersi dimenticata di mettere in valigia la ‘petrolina’, prodotto creduto in grado di contrastare la caduta dei capelli.
L’irlandese lo attende invano, per un po’. Poi se ne va. Una volta tornato a casa decide di scrivergli, in italiano: “Caro amico, Sono andato alla stazione ma nessun treno era in arrivo (nemmeno ritardato) nell’ora indicatami (…). Quando ripasserà per Parigi? Non potrebbe pernottare qui?” Mancano pochi giorni al suo compleanno, un giorno fatidico, il 2 febbraio. È per quella data che, due anni prima, nel 1922, ha voluto a tutti i costi veder uscire il suo romanzo di una vita, Ulisse, libro che avrebbe nel bene e nel male cambiato le sorti della letteratura del Novecento.
L’amico di Trieste ha invece da poco pubblicato il suo, di libro della vita. E gliel’ha inviato. La dedica in inglese, datata 27 dicembre 1923, recita: “per favore non si arrabbi per le pagine su cui vergo i miei auguri.” Un regalo di Natale in ritardo, dunque, ma anche di buon compleanno in anticipo. Qualche settimana dopo, a gennaio, forse perché l’irlandese si dimenticò di dare conferma d’aver ricevuto il plico, gli confesserà il suo grande disappunto per il silenzio in cui l’opera era sprofondata in Italia.
Quel silenzio l’aveva convinto che solo uno sciocco alla sua età – sessantatré anni suonati – può decidere di mettere di nuovo mano alla penna, perché si rischia il ridicolo.
E invece no. L’amico irlandese, dopo averlo atteso invano alla stazione, lo conforta affettuosamente facendogli sapere che ha ricevuto il libro, ma già ne aveva una copia, ordinata da Trieste: “Grazie del romanzo con la dedica (…). Sto leggendolo con colto piacere. Perché si dispera? Deve sapere ch’è di gran lunga il suo migliore libro”.»
Enrico Terrinoni, La vita dell’altro.