Mario Luzi scrive questa poesia civile, questa vera ‘invettiva’, nel pieno degli anni di violenza che hanno segnato l’Italia tra la fine dei Settanta e gli Ottanta del Novecento. È inserita nella raccolta ‘Al fuoco della controversia’, che è anche il titolo di una sua sezione. La poesia è famosa “perché si tratta di una veemente invettiva civile, quindi di un testo che tocca (e commuove, con la sua inossidabile attualità) tutti noi, cittadini della repubblica in questione. D’altra parte è una poesia che, almeno nella sua portata civile, appare di immediata comprensione e può quindi risultare quasi sorprendente per chi di Luzi conserva l’immagine, imprecisa ma diffusa, del poeta oscuro, difficile, aristocratico, ‘ermetico’…” (Marco Menicacci). Nella prima parte dipinge uno scenario di ‘guerra di tutti contro tutti’, ma poi “arriva, teologica e severa, la sigla luziana… il senso di trepido rispetto nei confronti della dimensione ultraterrena, quella dimensione che per l’uomo comincia con la morte. Destino comune a vittime e carnefici, la morte è il mistero che ammutolisce, il dolore che segna la irrimediabile finitezza della nostra condizione esistenziale”.
Muore ignominiosamente la repubblica.
Ignominiosamente la spiano
i suoi molti bastardi nei suoi ultimi tormenti.
Arrotano ignominiosamente il becco i corvi nella stanza accanto
Ignominiosamente si azzuffano i suoi orfani,
si sbranano ignominiosamente tra di loro i suoi sciacalli.
Tutto accade ignominiosamente, tutto
meno la morte medesima – cerco di farmi intendere
dinanzi a non so che tribunale
di che sognata equità. E l’udienza è tolta.
Muore ignominiosamente la repubblica.