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LE CITAZIONI: Piketty. Elogio della socialdemocrazia

Thomas Piketty

by Ernesto Scelza
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Il brano citato è tratto da una conversazione tra Thomas Piketty e Michael Sandel che ha avuto luogo alla Paris School of Economics il 20 maggio 2024 sui temi dell’economia, della giustizia sociale e della democrazia e che ruota attorno alla domanda: “È possibile creare un sistema più equo senza rinunciare alla libertà?”. A parlare qui è Thomas Piketty, l’economista francese noto per il suo fortunato ‘Il Capitale nel XXI secolo’, che introduce nel discorso un’ampia digressione sul valore e le conseguenze economiche e sociali delle politiche socialdemocratiche che hanno consentito, nel Novecento, l’ascesa storica dello ‘stato sociale’: “Alcuni preferiscono l’espressione ‘welfare state’; io preferisco la nozione di ‘stato sociale’, perché include l’istruzione e altri servizi pubblici, le infrastrutture pubbliche e non soltanto la previdenza sociale in senso stretto”.

 

«Un tempo la socialdemocrazia era un progetto radicale. Quando i socialdemocratici svedesi salirono al potere, prima negli anni trenta e poi dopo la Seconda guerra mondiale, e quando il Partito laburista salì al governo nel 1945, portarono al potere, anche in veste di ministri, persone che avevano lasciato la scuola a undici, dodici o tredici anni. Portarono al potere persone che lavoravano nelle miniere di carbone. Conquistarono Paesi che avevano una tradizione aristocratica.

(…) Quando i socialdemocratici, attraverso il movimento sindacale, presero il potere in Svezia negli anni trenta e quaranta, di fatto riuscirono a dimostrare che lo Stato di per sé non è a favore della disuguaglianza o dell’uguaglianza. Dipende da chi controlla lo Stato e da cosa fa attraverso lo Stato. I socialdemocratici riuscirono a mettere la capacità dello Stato svedese al servizio di un progetto completamente diverso: far pagare un’elevata imposta progressiva in funzione del reddito e della ricchezza, anziché distribuire il diritto di voto in base al reddito e alla ricchezza. E così si finanzia un sistema, compreso quello educativo, che sta al di fuori della logica monetaria e del profitto.

Questo è ciò che la demercificazione comporta e ha comportato storicamente. Si sottraggono interi settori economici al potere del movente del profitto. E la buona notizia è che non soltanto ha funzionato, ma che tali settori economici sono oggi davvero molto vasti. L’istruzione e la sanità rappresentano insieme quasi il 25 per cento dell’economia, molto più di tutti i settori manifatturieri dei Paesi sviluppati messi assieme, e operano in gran parte al di fuori della logica del profitto, del modello di proprietà degli azionisti. E tutto ciò funziona molto bene. In un Paese come gli Stati Uniti, dove il settore sanitario opera molto più secondo la logica del profitto, si spende quasi il 20 per cento del pil solo per la sanità, ma con risultati terribili rispetto ai Paesi europei, dove i sistemi sono guidati da una logica pubblica. Dunque, storicamente questa demercificazione ha funzionato.

(…) Storicamente l’ascesa dello stato sociale è stata resa possibile dalla crescita dei sindacati, dei fondi di previdenza sociale e dei contributi sociali per pagare questi fondi, ma anche dalla crescita di una tassazione veramente progressiva e da un enorme ridimensionamento del divario salariale, del divario di reddito e del divario di ricchezza. Conosciamo tutti la storia nei suoi tratti fondamentali, ma a volte le persone dimenticano che molti Paesi hanno assistito all’ascesa dello stato sociale: non soltanto la Svezia, la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, ma anche gli Stati Uniti, che per molti decenni del ventesimo secolo hanno avuto un’aliquota massima di imposta sul reddito all’80 o al 90 per cento. Dal 1930 al 1980, l’aliquota massima dell’imposta sul reddito è stata in media dell’82 per cento. Il che, a quanto pare, non ha distrutto il capitalismo statunitense (…).

Perché ciò è avvenuto? Perché all’epoca negli Stati Uniti l’istruzione era più diffusa, cosa evidente in una certa misura nel ventesimo secolo (…). Ed è questa la chiave della prosperità. A metà del ventesimo secolo, il fatto di avere un’aliquota d’imposta dell’80 o del 90 per cento sui più alti redditi e sulle più grandi ricchezze ereditate non ha avuto conseguenze negative in nessun ambito importante (…).

Tutto ciò è stato molto importante. E ha aiutato a costruire un nuovo contratto sociale grazie al quale le persone appartenenti alla classe media hanno accettato di contribuire allo stato sociale, avendo capito che ne avrebbero beneficiato e che le persone ai vertici avrebbero dovuto pagare molto più di loro. Oggi, invece, la classe media nutre ovviamente il sospetto – è più che un sospetto – che le persone ai vertici non paghino una giusta quota. Il che la porta a dire: “Okay, allora io non pagherò per chi è più povero di me”. Così, l’intero contratto sociale creato nel ventesimo secolo inizia a capitolare.»

Thomas Piketty – Michael J. Sandel, Uguaglianza. Che cosa significa e perché è importante.

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