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Ferragosto 2025, sua altezza reale lo zar Vladimir Putin viene accolto con tutti gli onori ad Anchorage, Alaska, dal Presidente Donald Trump. Si erano dati appuntamento per mettere fine alla guerra d’Ucraina ed avrebbero discusso a 360 gradi dell’assetto geopolitico del mondo. Il mondo intero aveva sperato.
Tre giorni dopo, Washington, Casa Bianca. Summit dei leader dell’Occidente. Trump e il presidente Zelenskij prim’attori, gli altri a supporto del leader ucraino.
Al termine dei due coreografici incontri il tycoon tuona: se entro 15 giorni Putin non mette fine alla guerra si accorgerà di cosa sono capace di fare!
Passano i 15 giorni e Putin continua a bombardare condomini civili, stazioni dei mezzi pubblici, anche ospedali. Dei presunti diktat di Trump se ne strafotte, sa che sono parole al vento. E l’altro ieri i suoi sono risusciti a colpire il Palazzo del Governo di Kiev. A fronte di tanta arroganza il truce tycoon ha reagito con fermezza: ‘Non sono contento!’ Tutto qui? Sì, tutto qui. Salvo l’offerta commerciale all’Europa: comprate petrolio e armi da noi americani e noi ve ne forniremo quante ne vorrete; noi siamo buoni venditori, siate voi buoni compratori.
31 agosto, Pechino. Summit dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco). Xi Jinping riunisce nella capitale del suo fastoso impero i due terzi del mondo. Anche il bombarolo Kim Jong-un, quello di cui si dice faccia sbranare gli oppositori dai suoi cani. Manca l’Occidente, ovviamente, ma c’è Robert Fico, il capo del governo della Slovacchia. Immortalato nelle foto di gruppo si vede Massimo D’Alema. Lui è un uomo di pace eh, lo ribadisce in varie interviste.
Alla presenza di tanto parterre sfilano i missili cinesi di ultima generazione e i militi al passo dell’oca. E l’imperatore Xi, vestito da Mao Zedong, sfida l’Occidente: scelga se vuole la pace o la guerra, noi siamo pronti. Un revival di Berlino del 25 agosto 1938, l’anno dopo fu la guerra. Solo che qui le bandiere sono rosse e allora sono bandiere di pace, vero D’Alema?
6 settembre, Donald Trump dichiara che Xi e Putin sono brave persone, li inviterà entrambi al G20 in programma nel 2026 nel suo resort di Miami. Forse anche prima, per un the tra buoni amici.
3 settembre, il tycoon invia nei Caraibi, ai confini con le acque territoriali del Venezuela, tre navi da guerra. Dice che vuole stroncare i narcos colpendoli a casa loro e ordina di affondare una nave venezuelana sospetta. Azione prontamente eseguita. Vengono uccisi undici uomini, a suo parere membri del clan ‘Tren de Aragua’, classificato dai suoi come organizzazione terroristica. Il Presidente rivendica l’azione e Marco Rubio, Segretario di Stato, assicura che l’operazione si ripeterà. Provocano, vogliono il casus belli. Le Americhe, dall’Artico all’Antartide, devono stare sotto il tallone di Washington. Maduro, Lula, Ortega, anche il canadese Mark Carney e il groenlandese Jens-Frederik Nielsen gli lascino il campo libero. Lui, Donald Trump, ha pronti i suoi quisling, uno per ciascun paese delle Americhe.
Tutto lascia pensare che si sia trattato di un test. Come avrebbero reagito quelli della parata di Pechino? Non hanno battuto ciglio. La formidabile macchina da guerra ibrida di Mosca e Pechino non si è messa in moto. Nessuna campagna social e tramite opinion leader ‘amici’ sugli USA guerrafondai.
E se ad Anchorage Trump e Putin si fossero accordati, o per lo meno avessero posto le basi per una nuova Yalta? Un nuovo ordine mondiale che prevederebbe l’Occidente, dal meridiano di Greenwich alle Hawaii, sotto l’impero USA; e l’emisfero orientale a Cina e Russia? Con entrambi gli emisferi governati da autocrati e tanti saluti alla democrazia?
Ammesso che tali siano i pre-accordi in via di definizione, in questo scenario ci sono molte, troppe pietre di inciampo per poter pensare che tutto sia già fatto e che possa filare liscio. Il Giappone e la Corea del Sud, ad esempio, potrebbero mai accettare di finire nell’orbita dei mandarini? E l’India, la più grande democrazia del mondo, fragile e contraddittoria finché si vuole ma pur sempre una grande democrazia, in crescita industriale, scientifica, tecnologica e militare, ci starebbe a fare l’ancella di Pechino, suo plurisecolare nemico? E il mondo arabo? E l’Australia, l’Africa, la Turchia, il Caucaso? E… l’Europa?
Putin lo ha fatto capire, l’UE in quanto tale per lui, e per ora, non è un problema. Per quanto lo riguarda anche l’Ucraina può aderire tranquillamente all’UE, purché al governo di Kiev ci sia un suo fantoccio. Anzi, un feeling tra la Federazione Russa e l’UE sarebbe positivo. L’eventuale formazione di un spazio geo-economico comune tra Europa e Russia gli consentirebbe di proporsi come pari grado di Washington e Pechino nel nuovo ordine mondiale. Si tolgano però dalla testa gli Europei di mettere paletti liberaldemocratici come condizione per la pace nel vecchio continente. Se ne stiano buoni buoni ad ovest di Bielorussia, Ucraina e Moldova, si tengano la loro decadente democrazia se vogliono, e lascino l’Est del continente a Mosca.
È in questo contesto globale che va letto il magistrale intervento del nostro Presidente Mattarella al Forum Ambrosetti di Cernobbio: “Il mondo ha bisogno dell’Europa. Per ricostruire la centralità del diritto internazionale che è stata strappata. Per rilanciare la prospettiva di un multilateralismo cooperativo. Per regole che riconducano al bene comune lo straripante peso delle corporazioni globali – quasi nuove Compagnie delle Indie – che si arrogano l’assunzione di poteri che si pretende che Stati e Organizzazioni internazionali non abbiano a esercitare. L’incrocio tra le ambizioni di quelle, e l’impulso di dominio, di impronta neo-imperialista, che si manifesta da parte dei Governi di alcuni Paesi, rischia di essere letale per il futuro dell’umanità”.