Home In evidenza LE CITAZIONI: Pusterla. Lettere da Babel

LE CITAZIONI: Pusterla. Lettere da Babel

Fabio Pusterla

by Ernesto Scelza
0 comments

È, questa, la prima parte di una poesia de ‘Le terre emerse’ che Einaudi pubblica nel 2009. Il poeta Fabio Pusterla, già allievo di Maria Corti, vi celebra la fine dell’Europa, naufragata nella guerra di Bosnia e nell’assedio di Sarajevo. Nota Goffredo Fofi: Di Bosnia e di fine dell’Europa – dell’idea di Europa –, in un paesaggio ideale e materiale in macerie, parla Pusterla in ‘Lettere da Babel’: come in un videogioco, il sogno dell’Europa muore nella guerra in cui è nata: “Chiamala Europa, o mondo, o solo un altro sogno; e forse è l’ombra di un secolo e di un vuoto che abbiamo visto e sperato di cancellare con la gioia. Un pezzetto di gioia per ciascuno: era questo il disegno, niente di complicato.”

 

Dici di aver sognato un sogno orribile. In TV

ci vedevi morire sepolti tra macerie,

ed era lunga la scena, interminabile,

ripetuta più volte: il grande crollo della torre di

Babele, e noi là sotto, bianca polvere mediatica. Tu

venivi poi affidato a governanti severissime,

teutoniche o anglosassoni, cattive. Noi dispersi.

Aggiungi, ma non c’entra, che vorresti

forse impegnare i tuoi risparmi per un nuovo

videogioco che ha un nome sorprendente:

pandora tomorrow. E siccome

non sai nulla o quasi nulla di Pandora ti racconto

l’invidia degli dèi per noi imperfetti

testardi esseri umani,

mangiatori di pane, sensibili alla bellezza.

E ancora giorni si susseguono, viaggi,

e sempre quel tuo sogno mi accompagna,

in segreto, e non capisco perché; finché guidando

nel traffico tra Modena e Bologna,

mentre uno sciame di passeri

sale su da dietro un muro come un vento di mare,

anche le immagini cominciano a volare

in una sola direzione, come i passeri,

confuse eppure unite, non senza un po’ di grazia

e di paura. C’è qualcosa

di vero nel tuo sogno, una visione

nitida che ci sfugge. E per questo ti scrivo. Perché so,

adesso so, che siamo qui davvero, io e tua madre,

e ci teniamo per mano in mezzo a tutte

queste macerie

di una cosa che non è crollata ancora, ma vacilla

e forse un giorno crollerà.

Chiamala Europa, o mondo,

o solo un altro sogno; e forse è l’ombra

di un secolo e di un vuoto

che abbiamo visto e sperato di cancellare con la gioia.

Un pezzetto di gioia per ciascuno:

era questo il disegno,

niente di complicato. Un poco a tutti.

Da qui ti scriviamo,

e siamo in molti, segnati da riso e mestizia.

Altri parlavano

delle grandi vittorie, di rinascite. Noi sappiamo

da tempo: la sconfitta,

questo era il vero punto di partenza.

Dovere di memoria e di speranza,

diritto alla felicità sempre negata, sempre

da costruire. E la vergogna,

anche, da non dimenticare:

tutto ciò che era stato, e non doveva

essere mai, mai più. Ieri la voce

più alta di Sarajevo diceva, la mano sul cuore:

sono stato

parte di una speranza collettiva, era un progetto

da oceano a steppa, vasto come il vento,

ed è crollato. Posso solo

alzare la mano sinistra, nera di tristezza,

la destra non si apre più, chiusa in un grido

che salda le unghie alla carne,

la Bosnia all’Europa che cade.

Lettere da Babel.

Leave a Comment