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Tanti in piazza per gridare basta morti in Palestina

gente comune, tanti giovani, tanti studenti con i loro docenti

by Piera De Prosperis
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Foto by USB

 

Grande partecipazione, grande affluenza, tanti in piazza per gridare a gran voce basta morti, basta resoconti di stragi di bambini, basta con l’inerzia o la connivenza dei potenti. Era tempo che una manifestazione dal basso, dall’Unione sindacale di base, non riusciva a coinvolgere tutti i lavoratori del pubblico e del privato, inclusi quelli che lavorano in settori pubblici essenziali come trasporti, scuola, servizi sanitari e pubblico impiego. “Rompere con lo Stato di Israele, difendere Gaza, dire no al riarmo, a fianco della Global Sumud Flotilla e con la Palestina nel cuore, Blocchiamo tutto”.

La Palestina nel cuore: bellissima espressione ma cosa c’è dietro? Ci sono certamente le vicende tragiche del Medio Oriente, la spudoratezza degli invasori ma cosa ci ha fatto partecipare in fondo? Cosa rappresenta per noi quella terra martoriata? E’ il nostro disagio per un mondo che sta esautorando sempre più la gente comune: ci sentiamo incapaci, impossibilitati a portare il nostro aiuto. E’ una scontentezza non solo perché non possiamo fare niente ma soprattutto perché chi potrebbe o dovrebbe fare qualcosa è troppo timido, troppo coinvolto economicamente nel conflitto. Venuta meno l’idea di un’America paladina dei diritti cosa ci resta se non manifestare. A poco a poco come un fiume che si è andato ingrossando da piccole manifestazioni abbiamo assistito ad un crescendo di indignazione che vuole mettere di fronte alle proprie responsabilità chi lascia che l’eccidio arrivi alla sua conclusione, con la costruzione della orribile e forse neanche tanto fantascientifica Riviera di Gaza.

In piazza c’era la gente comune, tanti giovani, tanti studenti con i loro docenti.

Una vera lezione politica nel senso più alto della parola. La scuola non fa e non deve fare politica ma è essa stessa politica nel momento in cui milioni di persone si ritrovano insieme. A scuola anche come si insegna è politico. Abituare i ragazzi alla tolleranza, leggere gli eventi storici, i testi di letteratura tarandoli perché la cittadinanza diventi attiva e partecipe è un compito fondamentale dell’educazione. Sempre.

Trovo quindi che la partecipazione del 70% tra lavoratori della scuola e delle università e studenti sia un segnale che forse questa nostra povera istituzione, martoriata dai continui tagli alle spese, dalle continue revisioni a programmi ed esami abbia ancora una sua forza intrinseca. Dire basta allo scempio perpetrato su popolazioni inermi, dire basta alla guerra è diritto/dovere sacrosanto che i giovani devono imparare a condividere ed a cui si richiede un’attiva partecipazione. E’ ovvio che ci sarà sempre chi vede nello sciopero un mezzo per non entrare a scuola, evitare un compito o una interrogazione, ma questo fa parte del gioco. Anche solo sentir parlare di questi argomenti, vedere il fiume di persone che partecipa apre uno spiraglio di consapevolezza anche nei più riottosi. La scuola non è mai stato un settore particolarmente combattivo, eppure oggi è stato importante sentire le parole di giovani coinvolti, di professori partecipi oltre qualunque sigla sindacale.

Dice Hanna Arendt: “Finché gli uomini possono agire, sono in grado di realizzare l’improbabile e l’imprevedibile”. Ma agire liberamente significa agire in pubblico e il pubblico è l’effettivo spazio del politico.

 

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