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Montalbano vince sempre, anche alla centesima replica

la scrittura di Camilleri, la regia di Sironi, la forza di Zingaretti

by Francesca Pica
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Chissà se Andrea Camilleri, quando scrisse la prima indagine del commissario Montalbano, immaginava che il suo personaggio sarebbe diventato parte del patrimonio affettivo di un intero Paese. Eppure è esattamente ciò che è accaduto: Salvo Montalbano non è più solo un protagonista di romanzi o fiction, ma una presenza familiare, un compagno di serate, una voce riconoscibile nel brusio del tempo. Per questo non stupisce che ogni volta che la Rai ripropone le sue avventure, lo share premi la scelta: milioni di spettatori si accomodano davanti allo schermo, consapevoli di partecipare a un rito rassicurante.

Dal lontano 1999, quando andò in onda la prima puntata, di Montalbano si è detto e scritto tutto: analisi televisive, riflessioni sociologiche, letture letterarie. Eppure, a distanza di più di vent’anni, resta una delle pagine più belle e resistenti della televisione italiana. Lo abbiamo imparato ad amare attraverso lo sguardo del regista Alberto Sironi, nelle sue inquadrature poetiche e misurate: il commissario ripreso di spalle o di tre quarti mentre risponde al telefono con il suo celebre “Montalbano sono”, o quando percorre a bracciate decise l’azzurro mare di Sicilia.

Quando la Rai decise di portare in tv i romanzi di Camilleri, Montalbano era già un’icona letteraria: un uomo contraddittorio, burbero e sensibile, ironico e malinconico. Ma Luca Zingaretti gli ha dato qualcosa che solo il cinema e la televisione possono offrire: una presenza fisica e umana. Con il suo testone rasato, la voce roca e ferma, il passo deciso e lo sguardo che alterna severità e tenerezza, Zingaretti ha costruito un commissario riconoscibile in un istante, anche per chi non ha mai letto i libri. Con quella capacità di indignarsi davanti all’ingiustizia senza mai perdere l’ironia, l’attore romano ha restituito a Montalbano la sua umanità piena: un uomo intero, non un eroe di maniera; capace di rabbia ma anche di pietà, radicato nella sua Sicilia come le case di pietra di Vigata.

Eppure, uno dei segreti più profondi del successo di Montalbano non si trova soltanto nelle sue indagini, né nella Sicilia barocca e abbagliante che lo circonda, ma nella straordinaria coralità del mondo che gli ruota intorno. A Vigata, città inventata e verissima, non esistono comparse: ogni personaggio, anche quello che appare per pochi minuti, è una figura compiuta, riconoscibile, viva. È questo a rendere l’universo camilleriano tanto credibile: il suo popolo.

Camilleri ha disseminato la scena con una galleria di tipi che vanno ben oltre la caricatura. C’è l’umanità intera, vista attraverso la lente della Sicilia: ironica, malinconica, contraddittoria. Nei personaggi minori, il pescatore che non sa mentire, la vedova pettegola, il politico prepotente, il prete saggio e rassegnato, il ladruncolo ingenuo, si riflette l’anima di un popolo abituato a sopravvivere con teatralità, ad affrontare il dolore con un sottile senso di sfida.

Perfino Catarella, con il suo linguaggio surreale, non è solo comico: è l’emblema della purezza, della buona volontà che inciampa nella burocrazia del mondo. Fazio, con la sua precisione maniacale, rappresenta il galantuomo dal senso assoluto del dovere. Mimì Augello, fimminaro ma leale, è la leggerezza che non sa stare in una sola storia d’amore.

Questa folla di personaggi che entra ed esce dalle trame senza mai dissolversi è il cuore pulsante di una Sicilia che smette di essere un luogo geografico per diventare un luogo dell’anima, dove convivono furbizia e bontà, fatalismo e dignità.

Ed è proprio questo insieme, la scrittura di Camilleri, la regia di Sironi, la forza di Zingaretti e la coralità di Vigata, che permette, dopo tanti anni e nonostante l’offerta sterminata delle piattaforme, alle repliche del commissario di continuare a vincere la loro sfida. Perché ogni episodio ci restituisce il lusso raro di fermarsi, di ritrovare un ritmo umano, e di lasciarci incantare ancora una volta, come fosse la prima.

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