Il mondo è più triste quando perde un poeta. Era un poeta dell’obiettivo, Sebastião Salgado, il fotografo brasiliano che ha dedicato la sua vita a raccontare l’umanità attraverso immagini di emozionante bellezza. Tra i più importanti fotografi del Novecento, è mancato a Parigi, all’età di 81 anni, a causa di una leucemia legata alla malaria contratta nel 2010 durante il suo progetto “Génesis”.
Nato nel 1944 a Aimorés, in Brasile, Salgado ha iniziato la sua carriera come economista, ma ha presto scelto di seguire la sua passione per la fotografia. Ha viaggiato in oltre 120 paesi, documentando le sofferenze e le speranze delle persone più vulnerabili, dai minatori della Serra Pelada ai rifugiati dell’Etiopia, dai lavoratori agricoli del Sud America alle comunità indigene dell’Amazzonia.
Ci ha svelato la struggente bellezza del nostro pianeta, ferita e ferocemente viva. Ha raccontato la tenacia silenziosa di popoli dimenticati, minuscoli eppure enormi nella loro dignità. Ha dato volto a quel “sale della terra” – come recita il titolo del film del 2014 firmato dal figlio Juliano Ribeiro e da Wim Wenders – che si scioglie nel sudore e nelle lacrime, nei solchi asciutti delle terre esauste. Ma ha anche illuminato il sale della lucidità, quella scintilla di intelligenza profonda che vibra nella resistenza quotidiana degli esseri umani, ovunque nel mondo.
Tra i suoi reportage più iconici, restano impressi nella memoria i pozzi petroliferi in fiamme nel Kuwait del 1991, la tragedia della carestia nel Sahel, le rivendicazioni dei contadini senza terra in Brasile, l’orrore del genocidio in Ruanda, le migrazioni forzate del Novecento e dei primi decenni del Duemila. Ma accanto al dolore del mondo, Salgado ha saputo catturare anche la forza della natura: l’Amazzonia intatta, capace di autorigenerarsi, popolata da comunità che vivono in armonia profonda con i ritmi della terra. Più volte ha sottolineato la volontà di raccontare «un’Amazzonia viva», lontana dalle immagini di fiamme e distruzione.
Il suo intento era quello di risvegliare la consapevolezza e il senso di appartenenza, per spingere alla salvaguardia di un ecosistema fragile. Dove ha potuto, è passato all’azione concreta: con sua moglie ha fondato l’Istituto Terra, nella sua città natale, impegnandosi a ripopolare di verde le aree devastate dalla deforestazione, restituendo vita a territori resi spogli e muti.
Le sue immagini in bianco e nero, il suo stile inconfondibile, caratterizzato da un’intensa drammaticità e una profonda umanità, hanno ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui il Premio della Pace della Fiera del Libro di Francoforte nel 2019.
Sebastião Salgado lascia un’eredità indelebile nel mondo della fotografia e dell’attivismo sociale. Le sue opere continueranno a ispirare generazioni di artisti e attivisti, ricordandoci l’importanza di vedere e ascoltare le storie di chi spesso rimane nell’ombra.