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Alfabeto delle citazioni: Boccaccio. Griselda

Sulla pelle di una donna

by Piera De Prosperis
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Leggere o rileggere il Decameron in tempo di pestilenze, guerre e crisi climatica non può che fare bene al lettore esperto e non. Le cento novelle sono inserite nella cornice della fuga dei dieci giovani dalla città appestata alla ricerca di un locus amoenus dove trascorrere serenamente il tempo della pandemia, raccontandosi novelle che mettano ordine nel caos morale del tempo, per poi tornare fortificati e con le idee ben chiare nella città che ha bisogno di forze giovani ed oneste.

Per la lettera G oggetto del nostro alfabeto delle citazioni trovo interessante proporvi l’ultima novella del Decameron, Griselda, che chiude l’articolata impalcatura narrativa boccacciana.

Si racconta la storia di una ragazza del popolo, Griselda, che il marchese Gualtieri di Saluzzo prende in moglie e sottopone a prove sempre più crudeli onde saggiarne la docilità: prima le sottrae i figli facendole credere di volerli uccidere, poi la ripudia, infine la richiama a corte per farle fare da cameriera a una nuova moglie (che in realtà è la figlia). Griselda, dopo aver subito tutto senza mai ribellarsi, viene riaccolta nella casa del marito e onorata secondo il suo merito.

Griselda è quindi un exemplum di forza morale, una martire che sacrifica sé stessa in nome dell’amore e della sottomissione, tenendo conto del fatto che l’argomento della giornata è storie esemplari di liberalità e magnificenza, specchio di un animo nobilmente disinteressato.

Quindi Griselda ad una prima lettura è la moglie perfetta, l’amore coniugale vissuto nella totale dedizione ma anche il punto più alto dell’umiltà che si contrappone alla corruzione e al degrado morale rappresentato dal ser Ciappelletto della prima novella della prima giornata. Attraverso un percorso di purificazione rappresentato dalla narrazione delle novelle, il lettore giunge a liberarsi dalla corruzione morale che si riflette nella corruzione fisica della pestilenza. E quale migliore esempio di una donna sottomessa che, come una martire, accetta tutto ciò che il marito padrone l’obbliga a subire? Non vogliamo addentrarci nell’analisi della novella ma solo insistere sul fatto che sulla pelle di una donna, se pur di fantasia, si gioca per l’autore il connubio creatura/creatore, vittima sacrificale/volontà del Signore. Ma siamo nel 1348.

E similmente verso i subditi del marito era tanto graziosa e tanto benigna, che niun ve ne era che più che sé non l’amasse e che non l’onorasse di grado, tutti per lo suo bene e per lo suo stato e per lo suo essaltamento pregando, dicendo, dove dir soleano Gualtieri aver fatto come poco savio d’averla per moglie presa, che egli era il più savio e il più avveduto uomo che al mondo fosse, per ciò che niuno altro che egli avrebbe mai potuta conoscere l’alta vertù di costei nascosa sotto i poveri panni e sotto l’abito villesco.  E in brieve non solamente nel suo marchesato ma per tutto, anzi che gran tempo fosse passato, seppe ella sì fare, che ella fece ragionare del suo valore e del suo bene adoperare, e in contrario rivolgere, se alcuna cosa detta s’era contro al marito per lei quando sposata l’avea.  Ella non fu guari con Gualtieri dimorata che ella ingravidò, e al tempo partorì una fanciulla, di che Gualtieri fece gran festa. Ma poco appresso, entratogli un nuovo pensier nell’animo, cioè di volere con lunga esperienzia e con cose intollerabili provare la pazienzia di lei, e’ primieramente la punse con parole, mostrandosi turbato e dicendo che i suoi uomini pessimamente si contentavano di lei per la sua bassa condizione e spezialmente poi che vedevano che ella portava figliuoli, e della figliuola che nata era tristissimi altro che mormorar non faceano. Le quali parole udendo la donna, senza mutar viso o buon proponimento in alcuno atto, disse: «Signor mio, fa di me quello che tu credi che più tuo onore e consolazion sia, ché io sarò di tutto contenta, sì come colei che conosco che io sono da men di loro e che io non era degna di questo onore al quale tu per tua cortesia mi recasti.»  Questa risposta fu molto cara a Gualtieri, conoscendo costei non essere in alcuna superbia levata per onore che egli o altri fatto l’avesse……….. Come Gualtieri questo ebbe fatto, così fece veduto a’ suoi che presa aveva una figliuola d’uno de’ conti da Panago; e faccendo fare l’apresto grande per le nozze mandò per la Griselda che a lui venisse;alla quale venuta disse:  «Io meno questa donna la quale io ho nuovamente tolta e intendo in questa sua prima venuta d’onorarla; e tu sai che io non ho in casa donne che mi sappiano acconciar le camere né fare molte cose che a così fatta festa si richeggiono: e per ciò tu, che meglio che altra persona queste cose di casa sai, metti in ordine quello che da far ci è, e quelle donne fa invitar che ti pare e ricevile come se donna di qui fossi: poi, fatte le nozze, te ne potrai a casa tua tornare».  Come che queste parole fossero tutte coltella al cuor di Griselda, come a colei che non aveva così potuto por giù l’amore che ella gli portava come fatto aveva la buona fortuna, rispose: «Signor mio, io son presta e apparecchiata».  E entratasene co’ suoi pannicelli romagnuoli e grossi in quella casa della qual poco avanti era uscita in camiscia, cominciò a spazzar le camere e ordinarle e a far porre capoletti e pancali per le sale, a fare apprestar la cucina, e a ogni cosa, come se una piccola fanticella della casa fosse, porre le mani, né mai ristette che ella ebbe tutto acconcio e ordinato quanto si conveniva.  E appresso questo, fatto da parte di Gualtieri invitar tutte le donne della contrada, cominciò a attender la festa; e venuto il giorno delle nozze, come che i panni avesse poveri indosso, con animo e costume donnesco tutte le donne che a quelle vennero, e con lieto viso, ricevette……«Griselda, tempo è omai che tu senta frutto della tua lunga pazienzia, e che coloro li quali me hanno reputato crudele e iniquo e bestiale conoscano che ciò che io faceva a antiveduto fine operava, volendoti insegnar d’esser moglie e a loro di saperla tenere, e a me partorire perpetua quiete mentre teco a vivere avessi: il che, quando venni a prender moglie, gran paura ebbi che non m’ intervenisse, e per ciò, per prova pigliarne, in quanti modi tu sai ti punsi e trafissi.  E però che io mai non mi sono accorto che in parola né in fatto dal mio piacere partita ti sii, parendo a me aver di te quella consolazione che io disiderava, intendo di rendere a te a un’ora ciò che io tra molte ti tolsi e con somma dolcezza le punture ristorare che io ti diedi. E per ciò con lieto animo prendi questa che tu mia sposa credi, e il suo fratello, per tuoi e miei figliuoli: essi sono quegli li quali tu e molti altri lungamente stimato avete che io crudelmente uccider facessi; e io sono il tuo marito, il quale sopra ogni altra cosa t’amo, credendomi poter dar vanto che niuno altro sia che, sì com’io, si possa di sua moglier contentare». E così detto l’abracciò e basciò: e con lei insieme, la qual d’allegrezza piagnea, levatosi n’andarono là dove la figliuola tutta stupefatta queste cose ascoltando sedea e, abbracciatala teneramente e il fratello altressì, lei e molti altri che quivi erano sgannarono. Le donne lietissime, levate dalle tavole, con Griselda n’andarono in camera e con migliore agurio trattile i suoi pannicelli d’una nobile roba delle sue la rivestirono; e come donna, la quale ella eziandio negli stracci pareva, nella sala la rimenarono. E quivi fattasi co’ figliuoli maravigliosa festa, essendo ogni uomo lietissimo di questa cosa, il sollazzo e ’l festeggiar multiplicarono e in più giorni tirarono; e savissimo reputaron Gualtieri, come che troppo reputassero agre e intollerabili l’esperienze prese della sua donna, e sopra tutti savissima tenner Griselda.

Commento finale di Dioneo, il giovane narratore dietro cui si cela l’autore stesso: Chi avrebbe, altri che Griselda, potuto col viso non solamente asciutto ma lieto sofferir le rigide e mai più non udite pruove da Gualtier fatte? Al quale non sarebbe forse stato male investito d’essersi abbattuto a una che quando, fuor di casa, l’avesse fuori in camiscia cacciata, s’avesse sì a un altro fatto scuotere il pilliccione che riuscito ne fosse una bella roba.

 

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