Di questi tempi, in questo periodo dell’anno, con questa frenesia di acquisti che cosa vi viene in mente per la N del nostro alfabeto delle citazioni? Natale risponderete tutti in coro! Un Natale triste questo del 2025, perché rattristato da eventi tragici e dolorosi che coinvolgono paesi neanche troppo lontani da noi. Scene di devastazioni ed infelicità che annebbiano le immagini colorate e luminose del Natale cui siamo abituati ad assistere. O piuttosto quest’anno le notizie delle altrui sofferenze che ci sono state in qualunque Natale trascorso, non riescono ad essere nascoste dalle stelle comete fulgide e false delle decorazioni?
La Favola di Natale di Giovannino Guareschi parla del Natale e della guerra. Un testo teatrale scritto e rappresentato in una baracca del campo di concentramento per Internati Militari Italiani (IMI) di Sandbostel nel 1944. “le muse che la ispirarono si chiamavano Freddo, Fame e Nostalgia”, come dice l’autore stesso nella nota al testo. La favola fu letta lì nel campo, in una baracca attrezzata a piccolo teatro, mentre compagni di prigionia, con strumenti musicali di fortuna, l’accompagnarono con cori e canti «Per l’umidità i violini si scollavano, perdevano il manico e le voci faticavano a uscire da quella fame vestita di stracci e di freddo».
Io vi racconterò una favola e voi la racconterete al vento di questa sera, e il vento la racconterà ai vostri bambini. E anche alle mamme e alle nonne dei vostri bambini, perché è la nostra favola: la favola malinconica d’ognuno di noi. Io, la sera della Vigilia del ’44, conclusi con queste parole la premessa: ma il vento avrà sentito? O, se ha sentito, sarà riuscito poi a superare i baluardi della censura? O, lungo la strada, avrà perso qualche periodo? Ci si può fidare del vento in un affare così delicato?
La sera della Vigilia di Natale, Albertino, figlio dell’autore, si alza in piedi di fronte alla sedia del suo papà per recitargli la poesia. Ma il papà non c’è: è stato deportato in un lager. Si spalanca la finestra e il vento si porta via la Poesia, che viaggia e viaggia per raggiungere il papà ma viene catturata e sottoposta a ferrea censura da parte di un omaccio vestito di ferro, la censura… Din-don-dan: la campanella questa notte suonerà. No, disse, Proibito fare segnalazioni acustiche notturne in tempo di guerra!
E con un pennello intinto nell’inchiostro di Cina, cancellò molte parole. Poi, di lì a poco, scosse ancora il capo. Una grande, argentea stella su nel ciel s’accenderà…Niente! Contravvenzione all’oscuramento! disse. E giù pennellate nere. Latte e miele i pastorelli al Bambino porteranno…Niente! Contravvenzione al razionamento! borbottò. E giù ancora col pennello. I Re Magi immantinente sul cammello saliranno…Niente! urlò furibondo Basta coi re! Guai a chi parla ancora di re! E giù pennellate grosse così. Poi, afferrato un grosso timbro, le timbrò le ali e disse che poteva entrare.
Fuori dal lager, la Poesia incontra il signor Buonsenso e scopre così che entrare là dentro per loro due sarà difficile. Quando la Poesia torna a casa e racconta ad Albertino, ciò che ha visto, il piccolo decide di andare di persona a cercare il suo papà. Compie questo viaggio dentro ai propri sogni, la notte di Natale, insieme alla nonna e al suo cane. Incontreranno tanti personaggi e vivranno tante avventure: la locomotiva che portò il papà al campo di concentramento; una gallina padovana residente all’estero; un campo di atterraggio per gli Angeli di ogni tipo; un Guardiaboschi Buono e uno Cattivo; tre cornacchie col kepì. Incontreranno, infine, nel folto di un bosco anche il papà di Albertino, che da dentro i propri sogni è fuggito dal campo per raggiungere i sogni altrui. Un miracolo che avviene soltanto la notte di Natale. Infine, Albertino vedrà anche un somarello e un bambinello, e il Dio della Pace contro il Dio della Guerra.
I Nanerottoli rispondono sghignazzando: “Io porto al nostro Dio il coltello perché possa tagliare a fette il mondo!” “Io gli porto la forchetta perché possa papparselo allegramente!” “Io gli porto il cucchiaio perché́ possa raccogliere e mangiarsi anche le briciole!” “Sia lode al Dio degli uomini buoni”, salutano i Magi prendendo la via del Sud. “Sia lode al Dio dei guerrieri”, rispondono i Nanetti prendendo la via del Nord. Disparvero e il bosco ridiventò deserto. E il papà e il bambino e la nonnina, stretti l’uno all’altro davanti al fornellino, tacevano, e niente si muoveva – neanche una fogliolina – perché le cose e gli uomini attendevano trepidanti. Mezzanotte… È nato!” gridò un’allodola di vedetta su una nuvola. “Notizia confermata!” disse il Vento. “C’è anche il commento! Udite!”
E portò un dolcissimo canto che veniva da lontane contrade. La solitaria capanna è tutta risplendente ora, e sulla paglia vagisce il Bambinello, e lo scaldano, col loro fiato, il bue e l’asinello. Anche nel castello d’acciaio annidato nell’ombra del Nord, un bambino è nato e piange, nella sua culla corazzata. Ma lo scaldano col loro fiato micidiale un lanciafiamme e lo scappamento del carro armato. Ma la sua voce è aspra e le sue mani hanno già piccoli artigli perché è il Dio della Guerra e nessuno viene a portargli doni. Mentre invece, alla capanna del Dio della Pace, giungono pastori e pastorelle recando agnelli e anfore colme di latte. Latte scremato: perché le pecorelle sono state tosate e la panna l’hanno adoperata per fare alle pastorelle un mantello di lanital. E i pastori se ne dolgono, ma san Giuseppe sorride: “Non importa: la colpa non è vostra, la colpa è della guerra.” E, dopo i pastori, ecco che arrivano marciando anche i guerrieri vestiti di ferro. “Sia lode a Dio”, dicono in coro. “Dio è con noi.” San Giuseppe scuote il capo: “C’è un errore. Il vostro Dio non è questo. Mai è stato questo. Il vostro Dio è l’altro che è nato nel castello d’acciaio.” “No”, dicono i guerrieri. “Adesso il nostro Dio è questo.” “Troppo tardi”, risponde san Giuseppe. “Tenetevi il vostro Dio anche per quest’anno…”
A uno a uno gli occhietti che fiammeggiavano sull’abete nel bosco solitario si sono spenti. Nel fornellino la fiamma dà gli ultimi guizzi. Fa freddo. Gli alberi hanno riallargato il loro cerchio e il Vento soffia gelido. Croci nere sono sparse nel bosco e attorno a ogni croce si aggirano mute ombre. E le croci sono tante, e le ombre sono infinite. “Chi sono, papà?” “Sono gli spiriti dei vivi che vengono a cercare i loro morti. Guardano tutte le croci che la guerra ha sparso nel mondo, leggono i nomi incisi sulle croci. E quando una mamma ritrova la tomba del suo figliolo, si siede sotto la croce e parla con lui di tempi felici che non torneranno mai più.” Il Vento, intanto, riporta la canzone che è stata fino ai campi di prigionia e ritorna alle case, e la canzone che è stata alle case e ritorna ai campi di prigionia. “Buon Natale, mamma, buon Natale, Albertino”, dice il babbo. “Ora ritornate a casa: la vostra canzone vi riaccompagnerà.” “E tu non vieni, papà?” “Domani, Albertino…” “Domani o morgen?” chiede la nonnina. “Morgen, mamma.” “Papà, perché́ non mi prendi con te?” “Neppure in sogno i bambini debbono entrare laggiù. Promettimi che non verrai mai.” “Te lo prometto, papà.” Se ne sono andati assieme alle loro canzoni e il bosco è muto e deserto. Nevica e una nuova soffice coltre si stende sull’altra indurita dal vento. Il cerchio verde attorno al fuoco è ridiventato bianco. Scompare la traccia dei sentieri. “Notte da prigionieri!” esclama il Passerotto capofamiglia nascondendo la testa sotto l’ala.
E nel muoversi fa cadere una foglia che scende volteggiando lentamente e si posa nel bel mezzo della bianca radura. E si vede che, sulla foglia, c’è scritto la parola FINE. Ed è una foglia stretta stretta: Stretta la foglia – larga la via dite la vostra – che ho detto la mia. E se non v’è piaciuta non vogliatemi male, ve ne dirò una meglio – il prossimo Natale, e che sarà una favola senza malinconia: “C’era una volta – la prigionia…”
E che sia davvero così!
