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Alfabeto delle citazioni: Recalcati. Incuria

delle istituzioni, della sanità pubblica, della scuola

by Piera De Prosperis
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Quante volte abbiamo lamentato l’incuria delle istituzioni, della sanità pubblica, della scuola, l’abituale negligenza, che implica di solito un danno dell’interesse proprio o altrui. Quante persone negligenti abbiamo incontrato nella nostra vita, persone distratte, disamorate del loro lavoro, vissuto più come dovere imposto che come scelta consapevole e d’amore. Dice Recalcati (nel suo articolo Nell’era dell’algoritmo non rinunciamo all’ascolto come cura) che l’incuria diventa esercizio di potere quando il carattere impersonale dello sguardo del medico prevale sul riconoscimento della singolarità del paziente, il quale diviene necessariamente un numero di cartella, un codice fiscale, un caso clinico. L’incontro che è a fondamento di ogni atto di cura si riduce così a una transazione: prestazione e ricevuta, sintomo e soluzione, domanda e algoritmo. E’ qui che l’incuria trova il suo terreno più fertile: il nome proprio viene sostituito dall’anonimato del numero. L’incuria, infatti, non è tanto l’assenza di cura ma la sua deformazione impersonale. E’ una cura che ha cancellato il volto dell’altro insieme alla sua parola, che impone protocolli e procedure standard anziché prendere in carico la soggettività del paziente.

Le parole di Recalcati possono essere trasferite in qualunque ambito lavorativo, più che mai nella scuola dove a volte lo sguardo sfiduciato e demotivato di docenti maltrattati dalle istituzioni si trasforma in una mancanza di empatia, nell’imposizione di una didattica che non tiene conto dell’unicità dell’alunno che si ha di fronte ma mira solo all’applicazione di tabelle di valutazione rielaborate e limate al limite dell’ossessione. E’ la scuola senza cura che non ci piace che allontana invece di accogliere, che crea una frattura a volte determinante nel futuro dei ragazzi.

L’avere cura evoca la figura della madre che costituisce il perno simbolico di ogni atto di cura. E’ la madre a mostrare che ogni figlio è figlio unico. In questo senso l’amore materno esclude per principio ogni forma di serialità. Se ogni figlio ai suoi occhi è figlio unico, non lo è nell’ordine del numero, ma solo nella sua esistenza impareggiabile (…). Il medico produce referti, il docente compila griglie, lo psicologo aggiorna piattaforme digitali. In questo modo si rischia di essere trascinati dentro un vortice burocratico che mentre assicura vigilanza e controllo genera di fatto una distanza disumana. Dovremmo invece ricordare che ogni gesto di cura è innanzitutto un atto di riconoscimento. Nei Vangeli Gesù non guarisce mai “in generale” perché ogni guarigione è l’esito di un incontro singolare. Egli chiama per nome, guarda negli occhi, tocca le ferite. L’umanizzazione della cura nasce da questo tocco, da questa prossimità, da questa resistenza che nessun algoritmo potrà sostituire.

Come non condividere e fare proprie queste affermazioni: il mondo sarebbe ben diverso se noi tutti ci chiamassimo per nome, ci guardassimo negli occhi, ci toccassimo le reciproche ferite, con un femminile sguardo pietoso.

 

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