C’è il PD a Napoli? Presenza eterea, impercettibile. Quella che poteva essere una straordinaria esperienza di incontro tra cattolici e comunisti, speranza di una politica alta, ricca di valori, di solidarietà, di attenzione e di servizio alla città più emarginata, possibile irripetibile occasione per credere ancora nella capacità della politica di essere servizio per gli altri, sì è ridotta a patteggiamenti tra capibastone che alla fine restano soli e poi impegnati a mobilitare i propri clienti nelle varie elezioni che spesso si svolgono non per garantire il processo democratico ma per misurare i rapporti di forza tra di loro. Brutto destino per un progetto che in queste condizioni è miseramente fallito e popolato da servi clienti e lacchè. Alla fine, non ci sono iscritti (ce ne sono?) motivati da valori ma per misurarsi ancora una volta per occupare posti di potere. Poi ci sta il dominio del capo assoluto che ha allargato i suoi consensi con il lungo esercizio del potere istituzionale e contratta il dominio su questo residuo di partito per irrorarlo di familismo.
Rassegnazione, la parola che malinconicamente si pronuncia. La recente lettera pubblicata su Repubblica Napoli di un iscritto che vi ha creduto e che lascia il PD per la delusione profonda conferma che in questo partito non c’è spazio per chi ancora intende la politica come militanza al servizio della collettività e il PD come strumento per questo obiettivo. Anche il PD è destinato all’emarginazione e all’influenza e il grande progetto al servizio del paese resta mestamente al palo.
Un sussulto di vita democratica è il documento dei 110 che dà appuntamento a settembre con Cuperlo. Forse, non tutto è perduto? Un diverso approccio si profila proprio in prossimità delle elezioni per il nuovo Presidente della Regione. Vedremo l’esito di questo gesto di vitalità.