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Coronavirus. La politica nervosa

by Luca Rampazzo
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“Se la situazione dovesse degenerare, si può pensare a iniziative di questo genere (blocco totale, stile Cina NdR). Se ciò dovesse avvenire ne dovremmo prendere atto, adesso le condizioni non ci sono”. Attilio Fontana 23/02/2020.

La situazione si è ormai stabilizzata, nel senso che i provvedimenti che dovevamo assumere sono entrati in vigore”. Attilio Fontana 25/02/2020

“’Situazione difficile, ma non così tanto pericolosa. Il virus è molto aggressivo nella diffusione, ma poi nelle conseguenze molto meno. Fortunatamente è poco più, non sono parole mie, di una normale influenza”. Attilio Fontana 25/02/2020

Ora, senza voler fare alcuna polemica, sia chiaro. Però non è che la situazione si presti a sterzate improvvise, inversioni ad U ed interessanti disquisizioni scientifiche. In Lombardia, cosa si possa e non si possa fare è chiarissimo. Ma sulla gestione generale della crisi non c’è altrettanta chiarezza.

Ci sono due linee di rottura: la valutazione della gravità della situazione ed il livello di nervosismo, talvolta puerile, della politica.

Il primo punto lo abbiamo visto. La cosa peggiore è non sapere. Di solito si dice così, ma ne esistono di peggiori. Per esempio, quando sembra che a non avere certezze siano quelli che dovrebbero comandare. Anche perché, quando si parte minimizzando, si accelera improvvisamente e poi si inchioda, si confondono le idee della gente. All’inizio si credeva che non ci fosse pericolo. Poi si sono adottate misure draconiane. Ora si chiede a tutti la calma perché, dopotutto, è solo un’influenza un po’ aggressiva.

Calma che manca completamente a chi governa i processi. Come hanno dimostrato gli sfoghi del Presidente Fontana in più occasioni (l’ultima stamattina in TV) e i litigi pacchiani con il Presidente del Consiglio, chi dirige l’emergenza sul territorio ha i nervi a fior di pelle. Non che Conte sia da meno. È così poco ascoltato da dover ricorrere ai tribunali contro le decisioni di un governatore, come Ceriscioli, che nelle Marche si rimangia la parola data e chiude le scuole. Un governatore del PD.

Insomma, la politica non sta offrendo, a tutti i livelli, un bello spettacolo. E tutto questo mentre i cittadini, in situazione di oggettiva difficoltà, non capiscono il perché di certe scelte.

Ieri ero al panificio. Il mio panificio è una bella storia imprenditoriale: una famiglia che, invece di vendere pane e basta, decide di diversificare e diventare anche un bar pasticceria. Investono, rischiano e ci riescono. Hanno davvero un bel locale. Che oggi deve chiudere alle 18. I cinque, dico cinque, tavolini interni potrebbero diffondere l’epidemia.

Le 18 sono un pessimo orario a Milano per chiudere una panetteria. Perché si vende il pane della seconda infornata, quella di chi rientra dall’ufficio. Ieri la proprietaria, nota per essere sempre sorridente, non aveva proprio nulla da ridere. È un bar. Deve chiudere. Il panettiere dirimpetto, d’altronde, no. E nemmeno il ristorante poco oltre. Quello non è un focolaio di infezione, ci mancherebbe. Ha sei volte i tavoli e questo notoriamente rende il contagio impossibile.

Siamo ottimisti. Restiamo calmi (almeno noi). Laviamoci continuamente le mani. E cerchiamo di fare squadra.