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De Luca. Giancarlo Siani, cronista scalzo

Erri De Luca

by Ernesto Scelza
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È Giancarlo Siani ‘Il cronista scalzo’, il giovane giornalista che dalla redazione di Torre Annunziata inviava a ‘Il Mattino’ le sue cronache sulla guerra tra i clan di camorra per il controllo dell’area stabiese-oplontina. Il suo omicidio, il 23 settembre 1985, nel quartiere napoletano dell’Arenella, fu ordinato dal boss Angelo Nuvoletta, per volontà del capo di ‘Cosa nostra’ Totò Riina, a cui il clan di Marano era affiliato.

Erri De Luca ricorda il giovane precario che aveva un sogno: strappare il contratto da praticante giornalista per poi poter sostenere l’esame e diventare giornalista professionista. ‘Il cronista scalzo’ è inserito in ‘Il più e il meno’: “Il Più è già arrivato, era un vento di corsa alle spalle spingendo innanzi, sparecchiando tavole, sfrattando inquilini, stringendo appigli e libri. Il Più è stato giovane e indurito come un callo. Il Meno governa il presente e mantiene quello che dice”.

 

«Ero a Napoli di nuovo, dodici anni dopo esserne partito, e mi muovevo con agilità tra le scosse e le macerie. Avevo già imparato altrove il mestiere di muratore, lì lo applicavo in un cantiere della ricostruzione.

Fabbricavamo muri, sbarramenti, sostegni per pietre disarticolate dall’incuria, aggiungevamo intralcio a intralcio. Riprendevo contatto fisico con la città: anche i topi mi sembravano cambiati, più spavaldi. Mandavo allora delle cronache di strada al quotidiano “Lotta continua”. Conobbi così molte persone giovani: trovavano in quel giornale e nel suo improvvisato cronista un’occasione per tentare la parola (…).

Giancarlo fu il primo a farsi avanti con me, ma non poteva firmare le notizie che mi dava. Svolgeva una precaria collaborazione al ‘Mattino’, tempo di apprendistato che nei giornali è spesso senza regole né scadenze, senza retribuzione e senza rete. Non poteva mettere il suo nome sotto i pezzi che scrivevo con le sue notizie.

Ho riletto quelle pagine sbiadite e ho riconosciuto le sue informazioni dirette, prese sul posto. Era un giornalista perché per lui era necessario svolgere indagine sul campo per proprio conto. Era un giornalista perché non gli bastava la notizia, e voleva frugare la verità.

Negli anni settanta ci piacevano della Cina i medici scalzi che andavano nei villaggi a tentare la prevenzione delle malattie. Giancarlo era un cronista scalzo, non aspettava le notizie per riportarle, ma cercava il meccanismo sanguinoso che le produceva. Erano gli anni dell’arrembaggio, il terremoto aveva raso al suolo la decenza, tutto era lecito per arricchirsi, la vita valeva uno sputo. La malavita si spartiva nel sangue i centimetri dei marciapiedi, sulla città piovevano miliardi ma non riuscivano a toccare terra, tutti intercettati a mezz’aria.

Giancarlo conosceva Torre Annunziata, che non è cognome e nome di una signorina, ma comune vesuviano digradante sul golfo e degradato a mattatoio di mortammazzati per quasi niente. Giancarlo lì aveva amici e raccoglieva notizie fresche di cose sporche. Si procurava facilmente la simpatia e la stima, aveva modi semplici per natura e un garbo frutto di buona educazione. Riusciva a fare conversazione con chiunque in pochi minuti, ma senza fare l’amicone, con misura invece e a bassa voce. Queste doti facevano coppia con un coraggio fisico naturale.

(…) Giancarlo… era un coraggioso mite. Mi portava sulla sua Vespa qualche volta nei suoi giri, mi mostrava i posti della droga, i trafficanti e i trafficati.

Una volta a Torre Annunziata passammo davanti a un bar e qualcuno, riconoscendolo, cominciò di corsa a inseguirci. Giancarlo non accelerò, mantenne la lenta andatura. A me che mi preparavo a puntare sul primo di quelli, sembrò perfino che rallentasse.

(…) Partii da Napoli, non l’ho più rivisto. Quattro anni dopo lessi su un giornale che Giancarlo non era più al mondo e non era ancora iscritto all’albo.»

Erri De Luca, Il cronista scalzo.

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