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DPCM 22 marzo. Chi resta aperto e chi no

by Luca Rampazzo
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Annunciato nella notte di sabato, il DPCM che doveva chiudere le attività produttive è uscito all’imbrunire di domenica. Vi sono state importanti novità in questo atto del Governo, per la maggior parte positive. La prima è che, per evitare quanto successo nelle due precedenti occasioni, si è vietato prima dell’uscita di muoversi dal proprio Comune. La misura antipanico è stata pubblicata con qualche ora di anticipo e poi riassorbita, consentendo però alle Forze dell’Ordine di respingere chi tentava di prendere il treno per andarsene. Non ha funzionato tutto come un orologio, soprattutto dal lato calabrese dello stretto di Messina, ma tutto sommato la macchina ha girato bene.

Le altre novità contenute nel testo si sono discostate significativamente dall’annuncio. Però sono state scritte con buona precisione, hanno delle vie di fughe per le eccezioni e sono sostanzialmente comprensibili. Ha pagato, in particolare, la scelta di enumerare le attività che restano aperte tramite codice Ateco, consentendo così una grande precisione. Il testo è frutto di un lungo confronto tra associazioni datoriali e sindacati.

Il testo si compone di due soli articoli, di cui il primo è certamente il più rilevante. Qui si dettaglia lo stop delle attività e le numerose eccezioni. Innanzitutto, ci sono un centinaio mal contati di codici Ateco esentati dalla chiusura. Dentro c’è di tutto, dalle funi e corde fino all’industria aerospaziale (ribadita anche alla lettera h dell’articolo 1). Alcune voci sono apparse e scomparse nel week end, come i codici Ateco 24 e 25 relativi alla metallurgia. In generale si prende atto che tenere aperti alimentari e farmacie richiede un sacco di lavoro in una società complessa. Questo vuol dire molte attività. E fuori ci resta abbastanza poco.

Sono chiuse le amministrazioni pubbliche non essenziali. È chiusa l’industria della ceramica, il design, i cantieri e l’interior design. È chiusa parte della metallurgia. Ma restano aperti gli studi professionali di architettura ed ingegneria, tutta la logistica e parte della manifattura. Ma, come abbiamo visto, questo elenco non è tassativo.

Restano aperte anche le attività a ciclo continuo, previa autorizzazione del Prefetto. Questo punto non lo ripeteremo, ma vale per ogni eccezione: se si vuol vedere riconosciuta la possibilità di produrre, bisogna comunicare la cosa al Prefetto, il quale ne darà conto al Governo, alla polizia ed alla Regione. Chi può dunque ricorrere all’organo territoriale del Governo? Chi gestisca attività che, pur non nominate, operano con le filiere indicate nell’allegato 1 e siano ad esse fondamentali. Le attività a ciclo continuo, come abbiamo visto, ma solo se non sono essenziali all’emergenza. In questo caso non serve la comunicazione. Le attività relative alla difesa ed allo spazio.

Possono continuare senza chiedere autorizzazione le attività di distribuzione di alimenti e farmaci, le attività di pubblica utilità (salvo i musei) e dei servizi essenziali.

Chi deve chiudere ha tempo fino a mercoledì 25 per completare le produzioni, mettere in sicurezza l’azienda. Poi scatterà la chiusura.

Questi provvedimenti sono in vigore fino al 3 aprile. Si stima possano costare, alla sola Lombardia, fino a 50 miliardi di euro (teorici, saranno assai meno nella realtà). Questo decreto, va sottolineato, va letto ed interpretato alla luce dell’ordinanza della Regione Lombardia di cui vi abbiamo dato conto nei giorni scorsi. Cosa che faremo a parte, perché vi sono dubbi interpretativi importanti.