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Editoriale. La mossa del cavallo di Matteo Renzi

by Pasquale Cuofano
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Nel gioco degli scacchi la mossa del cavallo permette di avanzare in modo obliquo, con un obiettivo non sempre evidente a priori e con una gestione dello spazio che non è lineare, spiazza il gioco, sposta il campo d’azione, sviluppa un’influenza su molte caselle in modo indiretto. Cambiare costa fatica, abbandonare un atteggiamento di pigrizia intellettuale e rinunciataria lo stesso”: Matteo Renzi parte da questo assunto per esporre il programma politico di Italia Viva per il dopo Coronavirus.

La prima pandemia in tempo di globalizzazione ha attaccato per prima la Cina, ma il resto del mondo non ha capito in tempo la gravità della situazione ed ha pensato di potersi proteggere chiudendo i confini. L’inadeguatezza dello slogan populista di “padroni a casa nostra”, invece, è stata subito evidente: si pensi alle prime emergenze per reperire semplici mascherine o respiratori. È stato chiaro che l’Europa deve aprire le frontiere non chiuderle, ma si devono rilanciare idee, cultura, ricerca perché l’economia da sola non basta più. É una nuova opportunità che ribadisce la priorità di premiare la competenza, il merito e lo studio. La necessità di fare rete, l’uso dei social-network e delle diverse piattaforme, lo smart-working, hanno rilanciato l’importanza dei sistemi informatici e l’adeguamento a nuovi stili di vita.

Occorre un nuovo Rinascimento. Un inedito Made in Italy culturale. Renzi con potente affondo evidenzia le disuguaglianze del tempo dell’epidemia, fra chi è garantito e chi non lo è affatto come giovani e donne lavoratrici. Ricorda, allora, i morti di Covid-19, uomini e donne che hanno ricostruito l’Italia del dopoguerra sul principio della democrazia e del diritto al lavoro.

Il compito che oggi spetta agli italiani è di non rendere sterili quei sacrifici e trovare le soluzioni che possano far ripartire al più presto l’economia, l’industria, la scuola. La politica è chiamata a decidere senza temporeggiamenti strategici, non si possono più rinviare le decisioni, i numeri parlano chiaro e prospettano uno scenario non rassicurante se continua l’assenza delle Istituzioni. É necessaria una incisiva riforma istituzionale, accettare la sfida del cambiamento, una rivoluzione della burocrazia, la elezione diretta del Presidente della Repubblica, una diversa concezione del ruolo del capo del Governo, più coordinamento tra le regioni ed i sindaci protagonisti dei territori. Il coraggio della politica delle scelte, l’audacia di rivendicare un futuro che non è scontato ma dipende da noi.

Sulla copertina il gruppo marmoreo del Bernini che raffigura Enea che porta sulle spalle il padre Anchise ed il figlioletto Ascanio per mano rappresenta simbolicamente la realtà italiana: nessun divenire può prescindere dalla lezione del passato, ogni azione del presente ricadrà sulle future generazioni. Renzi suggerisce di partire da tre elementi fondamentali: un’economia riformista ed innovativa, una giustizia che funzioni, un’idea di Patria che riscopra la coesione. Evitare che la recessione si trasformi in una permanente depressione sostenendo innovazione e start-up, rilanciando il turismo, creando infrastrutture intermodali delle comunicazioni, dai trasporti all’alta velocità, dagli aeroporti alle autostrade. Nei prossimi mesi per fermare i danni causati dalla pandemia è necessario un secondo Jobs Act che semplifichi le regole per gli imprenditori, riduca i costi del lavoro con la decontribuzione e garantisca l’occupazione per creare reddito e dignità all’individuo e, più in generale, un sostegno alle famiglie. Le azioni a cui guarda sono vettori di sviluppo che non prevedono misure di assistenzialismo che hanno dimostrato in questo periodo il loro limite. Queste ultime hanno diffuso una cultura rinunciataria e che ha danneggiato la già precaria situazione occupazionale, specie al Sud.

Matteo Renzi auspica una nuova stagione di libertà, libertà d’impresa, di rischiare e rialzarsi contro uno statalismo oppressivo, anche nella gestione del sussidio. Ricorda Don Sturzo: “A uno Stato accentratore, vogliamo sostituire uno Stato veramente popolare che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali, la famiglia, le classi, i Comuni, che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private”. Uno dei primi passi è sconfiggere il populismo che sfrutta l’ansia e la paura della disoccupazione, accettare il MES e tutti i finanziamenti predisposti dall’Europa e stabilire le giuste procedure per spenderli. Combattere l’evasione, ma anche i veleni del giustizialismo, specie quello in agguato del dopo-pandemia. Un programma complesso ma indispensabile se non si vuole perdere l’occasione di un radicale rinnovamento del Paese.

La “lettera di partenza” che riporta ad un passato di boy-scout e conclude il libro, è il momento più intimo del giovane politico che, attraverso una vita normale di successi e cadute, mette ancora in gioco impegno, interesse, partecipazione, nella convinzione che l’immobilismo è degli ambiziosi, mentre il cambiamento richiede dinamismo e capacità di ricominciare dopo gli errori commessi.