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Gli Scavi di Pompei da Bonucci a Garrucci, a Zuchtriegel

Benvenuti gli eretici della ortodossia pompeianistica

by Federico L.I. Federico
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Nel precedente articolo dedicato a Carlo Bonucci, antichista colto e architetto geniale, abbiamo chiuso la nostra narrazione riportando le parole che egli dedica al Canale Sarno nella sua “Pompei Descritta” (edizione 1827) quando – nella nota 12 dell’ampio corredo di Note dell’opera – scrive così: “…Dall’essersi osservato nell’interno dell’acquidotto che passa pel Tempio d’Iside le tracce dell’opera reticolata, sembra evidente, che la più gran parte del Canale del Conte, appartenga all’antico acquidotto di Pompei, nel quale dovette incontrarsi.”

Noi abbiamo definito queste parole un urlo di verità. E a qualche lettore dobbiamo un chiarimento.

Più precisamente, Carlo Bonucci – classificato tra gli antichisti “eretici” per certi suoi comportamenti che gli costarono la emarginazione – fa riferimento esplicito alla arcaicità de “l’antico acquidotto di Pompei, nel quale dovette incontrarsi” il Canale del Conte. Questo è un argomento che agitarono, inascoltati, numerosi studiosi più o meno coevi di Carlo Bonucci.

Per brevità opportuna ne citiamo solo uno, di grande statura, il gesuita Raffaele Garrucci, Accademico Ercolanese e Pontaniano che, nel 1853, in premessa alla propria opera “Questioni Pompeiane”, afferma con grande onestà intellettuale: “Quanta parte di Pompei ed in che tempo si sterrò prima del 1748 non può dirsi con sicurezza.” E, sempre nella stessa opera, pose la questione del Canale, scrivendo: “Il sapersi che il Canale di Sarno passa poco discosto da questo sito non prova uno scavo sopra terra, essendo ivi rimesso in uso un antico acquidotto, e non fabbricato un nuovo”. Ma Garrucci è rimasto inascoltato come, prima di Lui, Bonucci.

Il “Canale di Sarno” è una delle tante definizioni con cui si indicò variamente nel tempo il Canale Sarno, che – in un tratto non lontano dalla Villa dei Misteri – era chiamato addirittura ‘o sciumm’ ‘e Zappella, dal toponimo del luogo, oggi attraversato da una Strada comunale di Boscoreale, che si chiama appunto Via Zappella. Il Canale Sarno, nel suo tratto sotto l’antica Pompei, fu comunque – per vulgata storica totalitaria – eseguito dall’Ingegnere maggiore del Regno di Napoli Domenico Fontana per incarico del Conte Muzio Tuttavilla, tra la fine del Millecinquecento e l’inizio del primo decennio del Milleseicento.

Il problema da risolvere, affidato a Fontana, era l’attraversamento in galleria delle collinette pedevesuviane esistenti nel territorio della odierna Boscoreale, già territorio parte della Silva Mala, a monte della località Valle, o anche Vallo. Le terre di Valle ricadevano nei possedimenti dei Piccolomini D’Aragona di Scafati, eredi diretti degli amalfitani. La famiglia dei Tuttavilla era, nel Regno napoletano, una delle più autorevoli e antiche, addirittura di origine normanna. Il fine dell’opera era portare l’acqua di uno dei rami del fiume Sarno al Porto di Torre dell’Annunziata, dove il Conte Muzio Tuttavilla aveva costruito alcuni mulini idraulici.

Carlo Bonucci già aveva studiato e conosciuto la rilevante opera tecnico-idraulica del Fontana, che era stata realizzata circa due secoli prima. Bonucci, alla Pagina 15 della propria Guida ante litteram – ma comunque una Guida colta, di grande successo editoriale, tradotta in varie lingue – scrive anche questo: “…Debbo però confessare, che il sapersi generalmente essere stato mio Zio da molti anni Direttore degli Scavi di quella sepolta Città, è una circostanza che renderà sommamente rigido il giudizio degli Eruditi a mio riguardo.“ Il lettore quindi ora apprende da fonte diretta la stretta parentela esistente tra Carlo Bonucci e lo zio paterno Antonio Bonucci, che lo aveva preceduto come Antichista e Architetto Direttore poi degli Scavi di Ercolano. E, infatti, Carlo Bonucci chiude con eleganza altoborghese la Presentazione della propria Guida “Pompei descritta” concludendo: La buona volontà faccia in me perdonare la poca scienza.

Questo tratto dell’uomo Carlo Bonucci spiega anche il riserbo tenuto sul proprio metodo di procedere ai calchi in gesso, già dal 1813, riempendo le cavità emergenti dagli scavi in corso, che non fossero corrispondenti però a vittime umane della eruzione pliniana. Da qui la sua profonda delusione quando Giuseppe Fiorelli nel 1865 eseguì il primo calco umano senza coinvolgerlo nella operazione, che ebbe un grande ritorno in termini di notorietà soltanto per Fiorelli il quale non aveva ancora assunto la Direzione degli Scavi di Pompei. Ma tale Direzione fu affidata a Fiorelli qualche anno dopo i drammatici avvenimenti dell’Unità d’Italia.

Chiudiamo la necessaria digressione, per precisare al Lettore che Bonucci ben conosceva – grazie alla propria statura di colto Antichista – la storia di Pompei prima della conquista romana da parte di Silla. Bonucci ne motiva – nel lungo testo di “Pompei descritta” le modalità diverse della resa, rispetto al caso di Stabia, che era stata “ridotta a un mucchio di pietre”. E da qui il toponimo ‘o Petraro per il sito di Stabia, sopravvissuto da secoli fino a oggi.

Bonucci, nelle pagine dedicate all’eruzione pliniana del Vesuvio, dopo avere descritto la catastrofe apocalittica, scrive che il vulcano seppellì “sotto monti di lapillo, di cenere, di pietre e di scorie roventi Stabia, Pompei, Oplonti, Retina, Ercolano ed altri paesi de’ dintorni.” Precisa però che: “Pompei non restò lungamente tranquilla nel suo sepolcro. Molti dei suoi abitanti vi ritornarono colla scure alla mano, penetrarono fin nelle sue viscere e vi rapirono tutto ciò che non avevano potuto salvare colla fuga. Nuove ricerche e nuove profanazioni l’attendevano in tempi posteriori. (…) Nei secoli seguenti il nome di Pompei rientrò nell’oblìo.” E Bonucci scrive che con l’eruzione vesuviana del 471 “il nome di Pompei andò affatto perduto”.

Ebbene, a questo punto posso segnalare al lettore che quel che appena sopra ho trascritto (parzialmente) dalla Pompei descritta di Carlo Bonucci è proprio quello che ha annunciato e ha comunicato alla Stampa il Direttore del Parco Archeologico di Pompei Zuchtriegel.

Egli, attraverso il proprio Ufficio Stampa, ha scritto: Pompei fu rioccupata dopo l’eruzione del 79 d.C. dai sopravvissuti che non avevano modo di ricominciare una nuova vita altrove, ma verosimilmente anche persone provenienti da altri luoghi, senza dimora, in cerca di un posto dove insediarsi e con la speranza di ritrovare oggetti di valore, avevano provato a rioccupare l’area devastata dall’evento vulcanico (…) fino al V secolo quando poi l’area venne completamente abbandonata.(…) Sono ipotesi, già avanzate in passato, che sembrano essere confermate da dati e tracce emersi nell’ambito dei lavori di “Messa in sicurezza, restauro e consolidamento dell’Insula Meridionalis di Pompei”. Come pubblicato sull’E-Journal degli Scavi di Pompei https://pompeiisites.org/e-journal-degli-scavi-di-pompei/ si tratta di testimonianze di persone che tornarono sul luogo del disastro e che a un certo punto cominciarono ad abitare stabilmente tra le rovine dei piani superiori riaffioranti ancora tra la cenere. Così, nelle antiche case e strutture ritornava la vita, ma gli ambienti che una volta erano al pianterreno ora diventavano scantinati e caverne, dove si allestivano focolari, forni e mulini. (ndr: affacciando così una questione di Restauro, riguardante il conflitto tra Storicità in sé e fuori di sé).

Chiudiamo l’articolo qui, dopo avere apprezzato ancora una volta “la rivoluzione della trasparenza” attuata dal giovane direttore Gabriel Zuchtriegel con la introduzione dell’E-Journal degli Scavi di Pompei, a cui rimanda, peraltro opportunamente, il Comunicato Stampa del Parco.

Insomma, diamo il benvenuto agli eretici della ortodossia pompeianistica!

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