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Gli Scavi di Pompei e l’inconscio archeologico

Sincronia e diacronia nell’anima di Pompeii

by Federico L.I FEDERICO
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Questo articolo segue il precedente (https://www.genteeterritorio.it/pompei-animata-dalle-nuove-scoperte/) che si chiude con un primo interrogativo: Archeologia verticale od orizzontale? Seguito da un altro: Archeologia sincronica o diacronica?

Intanto, dopo la Musica Isiaca echeggiata all’interno del sito sacro, sono state programmate visite ai cantieri per piccoli gruppi di visitatori; 15 privilegiati potranno introdursi negli strati che appartengono all’anima di Pompei distrutta nel 79 d.C., attraversando la Insula Meridionalis.

Prima di riprendere, però, l’intervista al mio amico psichiatra Antonio Morlicchio – il quale aiuterà me e il lettore ad avvicinarsi all’anima profonda di Pompeii – chiarisco subito, anche per il lettore, che i concetti di sincronia e diacronia sono strumenti metodologici fondamentali nell’analisi scientifica, pienamente applicabili anche in archeologia. Intendo affermare che sincronia e diacronia non sono approcci contrapposti, ma strettamente interconnessi e complementari. Un’indagine archeologica completa deve necessariamente utilizzare entrambi gli strumenti. Per comprendere un fenomeno diacronicamente, è necessario prima aver analizzato i singoli “momenti sincronici” che lo compongono. In sintesi, la diacronia in archeologia è lo studio dei processi storici che hanno portato a un certo risultato “finale”, mentre la sincronia è l’analisi delle strutture e delle relazioni che caratterizzano un determinato momento di quel processo.

Essi rappresentano due modi diversi, ma complementari, di approcciare lo studio dei dati. La Sincronia si concentra sull’analisi di un sistema o di un fenomeno in un preciso momento storico, come se fosse una “fotografia”. L’approccio sincronico si traduce nell’analisi di un singolo contesto archeologico, come uno strato di scavo o un’unità stratigrafica ben definita. Per esempio: lo scavo archeologico di una Domus pompeiana distrutta dall’eruzione del 79 permette di cogliere un’istantanea della vita quotidiana, delle relazioni spaziali tra gli ambienti, dell’arredamento e degli oggetti di uso comune.

La Diacronia si occupa invece dell’evoluzione di un fenomeno o di un sistema lungo un arco temporale, più o meno ampio. L’analisi si focalizza sui cambiamenti, sulle successioni e sulle trasformazioni che avvengono nel corso del tempo. Diventa studio dei processi storici. La lettura stratigrafica degli strati di scavo in successione temporale (dal più recente al più antico, procedendo verso il basso con lo scavo) è l’esempio per eccellenza dell’analisi diacronica. Ogni strato rappresenta un “momento sincronico” diverso, uno strato progressivo e, quindi, numerabile fino a “N”, della stratigrafia del sito. La loro successione permette di ricostruire la storia di un luogo o di un insediamento.

Lo scavo archeologico praticato a Pompei, in altre parole lo Scavo “pompeiano”, è stato sui generis e vediamo subito appresso perché. Ma fino a oggi è stato, nella maggior parte dei casi, quello praticato a Pompei per gli strati eruttivi vesuviani del 79 d.C., soprattutto negli  anni “gloriosi” degli Scavi di Pompei, che si perpetuarono a partire dal Settecento, praticamente fino al secondo conflitto mondiale, salvo pochi casi di ricerca nel sottosuolo della Città antica, alla ricerca della Pompei pre-romana, i cui primi paladini furono archeologi  “eretici” – come io amo definirli – del calibro di Innocenzo Dall’Osso, grande preistorico, agli inizi del Novecento, nonché lo stesso Amedeo Maiuri intorno alla metà dello stesso secolo. E ben pochi altri.

 

 

Ma è tempo di continuare l’intervista e, quindi, rivolgo allo psichiatra Morlicchio la seguente domanda.

Ripercorrendo la storia degli scavi di Pompei, si evince con indubbia chiarezza che prevalentemente è stato scavato, valorizzato e indagato il ricoprimento della eruzione piroclastica del 79 d.C., il quale è, naturalmente, quello più ricco e ben conservato, composto di pochi strati sincronici, ritmati dai tempi brevi della distruzione vulcanica contenuta in pochi giorni apocalittici e, dunque, di breve diacronia. Per maggiore chiarezza, da parte mia faccio presente al lettore che, secondo studi recenti, in poche ore di eruzione accompagnata da violenti terremoti, Pompeii fu distrutta, per poi essere ricoperta dagli strati vulcanici, ricadenti dall’alto del “fungo” esplosivo, in tempi successivi, legati soprattutto al peso specifico di ciascuno strato, che – ricadendo al suolo – formava uno strato “sincronico”. E tu Antonio, mi puoi dare, da psichiatra, la tua interpretazione di un tale orientamento ampiamente condiviso, perpetuatosi quasi fino ai giorni nostri, che vedono finalmente, anche grazie al Direttore del Parco Zuchtriegel, una nuova attenzione verso la esplorazione dei versanti diacronici, come nel caso dello scavo delle “favelas” verticali dell’Insula Meridionalis?

“La ricerca archeologica, limitata allo studio della Pompeii romana distrutta dal Vesuvio, è apparsa fin da subito rassicurante, perché rimaneva nell’ambito della Diacronia “breve” della eruzione del 70 d.C. che hai appena descritto. Ma non è tutto semplice e razionale, né tutto può essere risolto, con metodo scientifico, con l’erklaren. Non è sempre così, anzi al contrario, perché spesso sul campo si manifestano complessità impreviste e altre variabili che comportano dubbi, scelte operative, basate sull’interpretazione, sul festehen. E’ il caso delle recenti scoperte post eruzione del 79, dove i manufatti rinvenuti hanno una stratificazione allo stesso tempo verticale e orizzontale, i manufatti di uno strato, di un livello sincronico inglobano e riutilizzano anche strati sincronici precedenti, rendendo arduo se non impossibile portare alla luce o studiare con lo stesso rigore i vari strati sincronici. Allora quali strati sacrificare? Valorizzare gli strati che mostrano eccellenza dei manufatti, o quelli piu importanti per la conoscenza diacronica che però potrebbero avere manufatti meno pregiati. Ci si trova di fronte a delicate e difficili scelte operative. Purtroppo però, troppo spesso, nelle varie epoche (sia per interpretazioni prevalenti rispetto alle evidenze, sia per motivazioni di opportunismo, che per altro) il prima e il dopo della Pompeii romana e’ stato trascurato, o addirittura volutamente denegato e contrastato, come nel caso delle scoperte ottocentesche della epoca arcaica effettuate nelle campagne della valle del Sarno da Innocenzo Dall’Osso, le cui vicissitudini tu Federico hai ampiamente ricordato nel tuo libro dedicato al Tempio di Iside”.

Concludendo questa seconda puntata, intanto al lettore basti sapere che, nei recenti primi anni Duemila, nello stesso territorio, sulla destra idraulica del Fiume Sarno, quindi nell’Ager Pompeianus – dove poi si è scoperto un villaggio preistorico perifluviale ubicato lungo sponde risanate con la infissione di migliaia di pali – è stato portato alla luce l’insediamento oscosarrastro Longola, da cui, forse, nacque Pumpaia, la progenitrice di Pompeii. (continua)

 

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