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Il giorno dopo: l’Italia ad urne aperte

by Pietro Spirito
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E’ il pomeriggio del 26 settembre, un giorno dopo le elezioni politiche. Tutto, o quasi, è andato come ci si attendeva. Al voto ha partecipato solo il 58% degli aventi diritto, quattordici punti in meno rispetto alla passata tornata del 2018. Se si aggiunge agli astenuti il conto delle schede nulle e bianche si supera la maggioranza assoluta: per la prima volta nella storia i votanti che hanno espresso la propria preferenza sono la minoranza del corpo elettorale.

Nessuno si sofferma su questo punto, che resterà comunque il dato più politico di questa competizione elettorale: nel cuore della democrazia italiana si è insinuato il tarlo della delegittimazione, che comincerà lentamente ad erodere un patrimonio già inadeguato di reputazione istituzionale.

La Destra ha conquistato, come ormai correva voce, la maggioranza assoluta: il partito di Giorgia Meloni è arrivato al 27,4%, mentre deludenti sono state le performance della Lega (11,5%) e di Forza Italia (6,6%). Le caratteristiche del sistema elettorale e la frammentazione degli antagonisti politici hanno determinato una slavina nei collegi uninominali.

Tra le opposizioni l’unico che può, per così dire, cantare vittoria è Giuseppe Conte; dato per spacciato all’inizio della campagna elettorale, ha raggiunto il 16,2% dei consensi, con una vittoria molto consistente nelle regioni meridionali: ha superato il 30% in Campania ed in Sicilia.

Il Partito Democratico, che aveva in qualche momento pensato di conseguire almeno la bandierina simbolica di primo partito, si deve accontentare di uno striminzito 21,1%, con risultati particolarmente negativi nelle regioni settentrionali e meridionali; tiene solo la roccaforte dell’Emilia-Romagna. Enrico Letta, già ieri sera, ha dichiarato che è necessario un congresso straordinario del partito per valutare le decisioni che andranno assunte. In ogni caso si annuncia una opposizione netta e chiara nei confronti dell’ormai prossimo governo delle Destre.

Ma il congresso è già cominciato, Goffredo Bettini ha dichiarato, in una intervista al Messaggero di stamane, che le responsabilità sono tutte di Enrico Letta, che non ha voluto fare l’alleanza con Giuseppe Conte. Al GR1 di stamane il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, ha detto che i territori dovranno contare di più nelle scelte del Partito Democratico, visti i deludenti risultati elettorali, mentre Vincenzo De Luca si è detto certo che a Parigi stanno aspettando con ansia la ripresa delle lezioni del professor Letta.

Il Grande Centro ha fatto un buco nell’acqua: il Terzo Polo ha raggiunto l’8,7%, nonostante un buon risultato in alcune regioni meridionali. Renzi si è immediatamente congratulato per la leadership che Calenda ha dimostrato nella guida della campagna elettorale. Alla domanda di un giornalista se l’affermazione era ironica, per tutta risposta Renzi si è sbellicato in una risata omerica, aggiungendo: “Carlo è sempre sereno”.

Intanto tutti guardano a Giorgia Meloni. Le prime polemiche sono sorte quando, la notte stessa delle elezioni, nugoli di mani destre tese hanno salutato a Piazza del Popolo il discorso della vittoria. I contenuti del ragionamento politico della leader di Fratelli d’Italia puntano ad una continuità in politica estera, ponendo l’attenzione però sulla tutela dell’interesse nazionale e sulla apertura verso esperienze politiche di segno analogo, in Ungheria ed in Spagna. Quando a quel punto si sono alzate nuovamente le mani destre tese, Giorgia Meloni ha manifestato qualche segno di fastidio.

Matteo Salvini, da Pontida, ha subito messo in chiaro che la legge sull’autonomia differenziata deve essere al primo punto del contratto di alleanza per dare l’incarico di primo ministro a Giorgia Meloni ed in ogni caso deve essere il primo atto di governo: patti chiari amicizia lunga, ha tuonato il leader della Lega.

Ad un giornalista che faceva osservare a Matteo Salvini che l’incarico per formare il governo viene conferito dal Capo dello Stato, il leader del Carroccio ha dichiarato che sono i partiti che conferiscono al Presidente della Repubblica questa titolarità, indicandogli la candidatura. Il Quirinale ha emanato un asciutto comunicato ricordando le prerogative dettate dalla Costituzione.

Silvio Berlusconi ha dichiarato che sarà lui il garante verso l’Europa e verso la Nato sulla fedeltà in politica estera della nuova maggioranza. Immediatamente ha sottolineato che intende servire il Paese quale seconda carica dello Stato, proprio per poter esercitare meglio questo ruolo di indirizzo e di controllo.

Nei prossimi giorni questi primi nodi che sono venuti al pettine saranno sciolti, o ne verranno fuori altri. La coalizione elettorale ha vinto nettamente: ora si tratta di capire se diventerà maggioranza di governo coesa capace di reggere le fila della legislatura che si è appena aperta.