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Il pasticcio del Polverificio Borbonico di Scafati

by Federico L.I. FEDERICO
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Recentemente è stato costituito il Comitato SOS Scafati, sorto per iniziativa di artisti, professionisti e semplici cittadini, scafatesi e non, oltre che Associazioni di vario stampo tra cui segnaliamo L’Altritalia Ambiente, Onlus nazionale del Terzo Settore, con la sua Sezione Scafati – Pompei – Valle del Sarno, già presente a Scafati da qualche anno per iniziativa dell’esperto territorialista Giovanni D’Amato.

Il portavoce del Comitato SOS Pier Paolo Patti ha tenuto una conferenza stampa, presso gli spazi della Libreria Mondadori, per l’emergenza costituita dal degrado non più ammissibile del Polverificio Borbonico, definito “tout court” dal Comitato SOS Scafati simbolo identitario della Comunità scafatese e del fiume Sarno.

Ci sembra utile quindi, dando la notizia, di motivarne le ragioni storiche e quelle di attualità.

Fu Ferdinando II di Borbone a volere il Real Polverificio del Regno delle Due Sicilie a Scafati, lungo il docile fiume Sarno, per motivi strategici e di opportunità al fine di evitare danni alla popolazione civile in casi di deflagrazioni incontrollate, come era già avvenuto a Torre Annunziata, sede di un più antico polverificio dismesso per farne un più moderno Spolettificio, ancora esistente. Nel sito prescelto dal Re, lungo il Sarno, un paio di secoli prima era stato costruito dai potenti Piccolomini d’Aragona un canale idraulico artificiale per portare le acque del fiume Sarno a servire Mulini, Cartiere e le campagne di Valle, sito detto poi Valle di Pompei e, infine, Pompei.

Quel canale si chiamò Bottaro. Esso possedeva una caratteristica rara, quasi unica: quella di far correre l’acqua fresca e pulita del Sarno a una quota superiore rispetto a quella della campagna circostante. Una vera e propria meraviglia di ingegneria idraulica, famosa in Europa al tempo. Era poi il 1852 quando il Re decise che il Polverificio scafatese sorgesse su un’ansa del fiume Sarno, a confine con il Canale Bottaro, per bagnare periodicamente le polveri da sparo prodotte nel Polverificio con allagamenti indotti e controllati dalle alte sponde del canale. E già nel 1854 il Polverificio entrò in produzione. (!) Con la occasione, per ragioni strategiche di rapido accesso lungo il fiume, il Re Borbone pose mano anche alla rettifica dell’ultimo tratto del fiume Sarno da Scafati alla sua foce a mare, che fu rifatta.

Il Sarno infatti – dopo la eruzione pliniana del 79 d.C., che aveva colmato la antica dulcis Pompeia palus – si era scavato nella cenere bollente e nei lapilli un proprio percorso fluviale sinuoso e serpentiforme, che gli aveva fatto meritare per secoli il nome di Dragone.

Con la rettifica il percorso fluviale da Scafati al mare – diritto come un fuso – fu ridotto da 12 chilometri a soli 7 chilometri, con inaugurazione già nel 1858. (!!)

Un record ammirato dalle potenze europee dell’Ottocento.

Pochi anni dopo però, nel 1860, si verificò l’invasione del Regno delle Due Sicilie. La scomparsa del Regno fu sugellata da un plebiscito pilotato dai Vincitori a danno dei Vinti. Una ferita che ancora non si è rimarginata, come è ormai dato condiviso.

Il Polverificio di Scafati restò attivo per circa quarant’anni fino al 1894 quando, per ragioni strategiche del neonato Regno d’Italia, la struttura militare fu convertita in Istituto Sperimentale del Tabacco.

Tralasciamo gli eventi di epoca moderna e contemporanea per arrivare all’attualità odierna. Hic et Nunc. La decadenza e il degrado attanagliano la parte monumentale del Polverificio. Va meglio invece per il retrostante parco/giardino verde – ampio circa dieci ettari – punteggiato di platani secolari e capannoni, veri e propri reliquati delle lavorazioni agricole di tabacchi e altre colture sperimentali. Esso è affidato al Parco Archeologico di Pompei.

Il fabbricato con l’ingresso monumentale è invece affidato al Comune di Scafati. Vediamo come e perché. Il Polverificio giace oggi sul confine tra il Comune di Pompei e il Comune di Scafati, cioè sul confine tra le Province di Napoli e di Salerno. Il suo ingresso principale si trova quindi nel Salernitano, mentre l’Ingresso secondario, alla fine del grande Parco/giardino, si apre sul Napoletano, in territorio comunale di Pompei. Entrambi gli ingressi sono ubicati a poche decine di metri a Sud dal fiume Sarno (nel tratto della sua morte biologica) e a Nord dal Canale Bottaro (morto e in parte sepolto da melma insana e inquinante).

Questo il quadro desolante di quello che gli Scafatesi e i Pompeiani chiamano ancora familiarmente l’ISTITUTO, senza porsi problemi di confini giustapposti.

A questo papocchio originario, si è aggiunto pochi anni fa il pasticcio della Riforma dei BBCC a firma del Ministro Franceschini che – mal consigliato dal Direttore dell’ufficio periferico di Pompei – ha creato il Parco Archeologico dotandolo di un territorio che non copre nemmeno il piccolo territorio pompeiano, rimasto diviso tra due Soprintendenze!!

Però al Parco pompeiano la Riforma ha assegnato anche il “governo” di brandelli di territorio e monumenti, sparsi qua e là, senza un criterio basato sulla cultura identitaria dei territori. Questa situazione l’abbiamo definita più volte folle. Non troviamo altro termine oggi.

Intanto, brandelli di territori e monumenti lattari e stabiesi risultano ricompresi nel parco Archeologico di Pompei, insieme a brandelli di territori e monumenti vesuviani e vallivi della destra idraulica del Sarno. Un fiume che ha funzionato da sempre come frontiera di acqua e di Storia, tra due diverse Culture identitarie, quella Longobarda e quella Bizantina, ben note invece al MANN e al suo Direttore Paolo Giulierini, insignito con il Premio Maiuri – PIAAM di quest’anno a Pompei.

Prima di chiudere ci rimane da dire che, nel caso del Polverificio di Scafati, si intrecciano più e diverse competenze amministrative. Eccole: la Soprintendenza Mista di Salerno e il Comune di Scafati per quanto riguarda l’ingresso principale e l’edificio monumentale; Il Parco Archeologico di Pompei e il Comune di Pompei per quanto riguarda il Parco/giardino e l’ingresso postico; forse la Regione, trattandosi di un caso interprovinciale; e si aggiunge il Demanio, vero proprietario del complesso, in questa Italia dai mille poteri burocratici.

A questo punto al Comitato SOS di Scafati non rimane che rivolgersi a San Giuliano o, meglio, a Sangiuliano, il Ministro senza apostrofo e senza responsabilità sul papocchio, o pasticcio che dir si voglia. E al vostro cronista dire: Viva l’Italia! O no?