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La conferenza stampa di Draghi a Washington, nel segno della cautela

by Luigi Gravagnuolo
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Una conferenza stampa nel segno della prudenza quella di Draghi ieri pomeriggio a Washington, sotto certi aspetti è stata il riflesso della situazione di stallo in cui pare essersi impantanata la guerra sul campo in Ucraina.

D’altra parte anche il discorso di Putin di lunedì scorso nella Piazza Rossa di Mosca, il 9 maggio giorno della vittoria contro il nazi-fascismo, non era stato baldanzoso, piuttosto improntato alla moderazione.

Non è stata una conferenza del relatore, ma una conferenza-stampa durante la quale si è passati a volte da un tema all’altro a seconda delle sollecitazioni dei giornalisti, come sempre accade in questi casi. Qui cercheremo di proporne la lettura alterando in parte l’ordine delle domande e risposte. Va anche aggiunto che tutte le citazioni qui in corsivo e virgolettate sono riportate a braccio ed in sintesi concettuale, non sono testuali.

Quanto ai rapporti di forza il nostro premier li ha sintetizzati così: “Quando la Russia ha invaso l’Ucraina l’esito del conflitto appariva scontato, da una parte c’era Golia dall’altra Davide. Ora, pur in un quadro di grande incertezza, una cosa si è acclarata, Golia non c’è più, la Russia non appare più invincibile”.

Mario Draghi non lo ha detto, ma l’impressione è che se ne sia capacitato anche Putin, che forse sarebbe ora pronto a sedersi attorno ad un tavolo negoziale. Chi invece non pare pronto è Zelenski. Si spiegano così i ripetuti appelli alla chiarezza rivolti al leader ucraino: “Bisogna cominciare a sedersi attorno ad un tavolo per un accordo di pace, ma deve essere la pace che vuole l’Ucraina, non una pace imposta da qualcuno, anche tra gli alleati”. E ancora: “Noi ci possiamo anche sedere al tavolo, ma senza la condivisione dell’Ucraina non ci sarà mai una pace”. Infine: “L’Ucraina deve chiarire a se stessa ed a tutti cosa intende per vittoria”.

In breve, Draghi e Biden concordano: né gli Europei né gli USA arretreranno nel sostegno agli Ucraini, è l’ora però che loro stessi comincino a chiarirsi gli obiettivi.

Non avendolo fatto la prospettiva attuale è una lunga guerra di attrito, che sta già mettendo a dura prova l’Europa per la crisi energetica e la difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, ma soprattutto minaccia il mondo intero per la spaventosa crisi alimentare che si annuncia.

Restando al nostro continente, in relazione alla crisi energetica – che “è cominciata già da prima della guerra, da un anno e mezzo a questa parte” ha precisato il capo del governo italiano – Biden ha prestato attenzione alla proposta italiana di fissare un tetto al prezzo di petrolio e gas ed ha condiviso l’esigenza di fare pressione sull’OPEC affinché aumenti la produzione di greggio, così come quella della diversificazione dell’approvvigionamento di gas. Sul tetto al prezzo di gas e petrolio non c’è però uniformità di giudizio in Europa, il che non aiuta.

La vera liberazione dalla dipendenza energetica si potrà ottenere tuttavia solo incrementando gli investimenti sulle rinnovabili e semplificando la loro realizzazione con procedure amministrative più snelle delle vigenti.

Quanto al rischio stagflazione ed in generale sullo stato dell’economia europea, ed italiana in particolare, Draghi è stato rassicurante. “In quest’anno non c’è alcun rischio recessione; la presidente della BCE, Christine Lagarde, sta operando bene, graduando la definizione dei tassi di interesse in modo flessibile, così da poter fronteggiare l’incertezza che caratterizza la situazione attuale”.

Molto più preoccupante è invece la crisi alimentare, determinata dal blocco dei porti ucraini, dai quali partivano fino a poche settimane fa, le grandi navi di trasporto dei grani sia ucraini che russi. Su questo punto Mario Draghi, sorvolando sulle spavalde affermazioni di Lavrov per le quali il conflitto russo-ucraino si concluderà con la fine irreversibile dell’egemonia USA nel mondo, ha prestato attenzione alle dichiarazioni del ministro russo, per il quale le navi non partono non perché i Russi hanno bloccato i porti, ma perché gli Ucraini ne hanno minato le acque. In realtà i Russi hanno bloccato le navi, ma è altrettanto vero che i mari sono stati minati dagli Ucraini. Ecco, ha concluso su questo punto Draghi: “Lo sblocco della navigazione commerciale nei porti del Mar Nero è interesse reciproco di Russi ed Ucraini, nonché del mondo intero. Un tavolo serio di negoziazione può cominciare proprio da questo punto, per il quale occorre che tutti facciano la propria parte, onde scongiurare una drammatica crisi umanitaria su scala planetaria”.

Un giornalista gli ha chiesto cosa stia facendo l’Europa per la propria autonomia strategica e il premier, con l’occhio rivolto al nostro governo, ha colto la palla al balzo per puntualizzare sulla questione dell’aumento delle spese militari del nostro Paese, il famoso 2% del Pil che ci viene richiesto in sede NATO. “L’U.E. spende in realtà il triplo della Russia in armamenti – ha risposto Draghi – ma lo fa in modo non coordinato. Molte spese vengono duplicate senza alcun ragionevole motivo, mentre altre non vengono deliberate. Non si tratta dunque di spendere di più, ma meglio”. Serviranno queste parole, peraltro non nuove, a sedare le inquietudini di Matteo Salvini e di Giuseppe Conte? C’è da dubitarne, è abbastanza evidente che per i due neofiti del pacifismo nostrano il problema non è di merito, bensì di propaganda pre-elettorale.

Chiudiamo con la sfida rivoltagli da un altro giornalista, Claudio Pagliara del TG2: “Lei è pronto ad assumere la leadership dell’Occidente? Può fare di più?

Risposta: “Tutti coloro che hanno una responsabilità, non solo io, possono fare di più, ma non devono cercare un ruolo o affermazioni di parte, devono cercare la pace!”. Parole di uno statista vero.