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La “Fortuna” e i disastri ambientali

by Anna Maria Glorioso
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L’Autrice è Architetto e PhD in Energy Engineering and Technical Physics.

 

Quantum fortuna in rebus humanis possit, et quomodo illi sit occurrendum” è il titolo letterario del Capitolo XXV del saggio critico di dottrina politica “Il Principe” di Niccolò Machiavelli. Siamo nell’anno 1513 e tanti di noi ricorderanno questa similitudine attribuita alla “Fortuna” e ai “fiumi rovinosi”.

Scriveva Macchiavelli che, durante i periodi “quieti”, il Principe debba provvedere al governo del territorio. Infatti, già all’epoca l’Italia era considerata “sedia” ovvero sede di disastri alluvionali, e se il Principe non avesse ivi operato “con conveniente virtù”, l’impeto distruttivo dell’acqua avrebbe trovato la via del suo sfogo nelle campagne sanza argini e sanza alcuno riparo”.

Ebbene più che una similitudine oggi, 710 anni dopo, è senza dubbio fonte di preoccupante attualità.

Certo le operazioni per ridurre al minimo questo tipo di rischi sono molto dispendiose in termini di tempo e di mezzi e questa difficoltà era già sentita tale ai tempi di Macchiavelli, quando registravano nei diari meteorologici i danni causati dagli eventi di allagamento. Ed è una difficoltà riscontrata anche oggi con i canali di informazione televisiva che continuano a far la conta dei danni e mai la conta delle risistemazioni e degli adeguamenti al fine di ridurre o evitare al massimo le probabilità di eventuali danni causati in caso di disastro idrogeologico o di frane o terremoti [fig.1, in alto – Alluvione a Faenza – fonte: foto Stefano Tedioli su www.quotidiano.net (2023)].

Dobbiamo ammettere che ci si è resi conto troppo tardi che le varie forme di sfruttamento, speculazione e inquinamento del suolo e delle acque ci hanno trascinato fino al punto di non ritorno. Ogni ulteriore intervento antropico è diventato insostenibile. Infatti, anche se, a partire da questo istante, non dovessimo realizzare più alcun tipo di nuovo intervento sul territorio, ciò non basterebbe a sanare le ferite del territorio, perché in molti casi la Natura non è più in grado di riprendersi. Infatti, secondo molti studiosi, l’impatto antropico rimarrà visibile per milioni di anni e anche il più sostenibile degli interventi sarebbe ormai insostenibile per l’ambiente e il territorio.

 

fig. 2_ Suolo consumato in percentuale nelle aree a pericolosità  idraulica media (MPH). Fonte: elaborazioni ISPRA su cartografia SNPA e ISPRA. (2022)

 

Esiste purtroppo ancora una tendenza diffusa a confondere i cambiamenti climatici, la cosiddetta “Fortuna” di matrice macchiavelliana, con il riscaldamento globale. I cambiamenti climatici, infatti, sono gli eventi che si determinano a causa del cambiamento delle temperature e sono determinati in larga parte, oltre che dall’inclinazione dell’asse terrestre, anche dalle correnti oceaniche e dalla ciclicità delle attività solari. I risultati delle più autorevoli ricerche scientifiche hanno datato tra i 2,58 milioni e tra 11.700 anni la manifestazione del più importante cambiamento climatico risalente alla Glaciazione del Pleistocene. E concordano che, a memoria d’uomo, risale alla “Piccola Era Glaciale” che ebbe luogo a partire dalla prima metà del XIV secolo per protrarsi fino alla prima metà del XIX secolo. Dalla seconda metà del XIX secolo ha cominciato a manifestarsi il fenomeno del riscaldamento globale, ovvero il fenomeno di innalzamento sulla Terra della sua temperatura media a causa dei cambiamenti climatici di origine naturale sommatosi ai microclimi presenti in differenti aree della Terra, originati dalle attività antropiche che liberano in atmosfera i gas serra dovuti alla combustione dei gas fossili necessari ai processi produttivi, ai trasporti, all’agricoltura e agli allevamenti intensivi. Comunque i dati riguardanti il buco nello strato di ozono pubblicati nell’ultimo rapporto quadriennale dell’ONU confermano che entro il 2040 dovrebbe rientrare ai livelli del 1980.

Quindi non dovremo più temere gli effetti catastrofici dovuti al riscaldamento globale!

Rimane però l’apprensione per la più temibile delle conseguenze che potrebbe scatenarsi a causa dei cambiamenti climatici, con il loro impatto negativo sul ciclo dell’acqua causato da periodi lunghi di siccità seguiti da periodi intensi di piogge torrenziali. Perciò i nostri “Principi” del Pianeta Terra dovrebbero attuare con urgenza politiche per riportare alla naturalità originaria soprattutto i fiumi, i corsi d’acqua e le zone costiere di cui, per secoli, si è ampiamente abusato in nome del progresso: è stata diminuita la loro portata, deviati dal letto originario, prosciugati, ricanalizzati, tombati e inquinati.

 

fig. 3_ Cantiano, sbarramenti e deviazioni del fiume Burano. fonte: frame dal video di Stefano De Nicolo/ #localteam. (2022)

 

Con la Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio per il “ripristino della Natura”, del giugno 2022 a seguito delle Linee Guida pubblicate nel 2021, gli Stati membri hanno il supporto per l’individuazione dei rischi idrogeologici, delle frane e della perdita progressiva degli ecosistemi naturali, delle decisioni prioritarie da intraprendere e per l’individuazione di finanziamento. La Proposta chiede importanti misure di ripristino, tra cui la rimozione delle barriere longitudinali e laterali di argini e dighe, il miglioramento delle condizioni idrogeologiche, l’eliminazione delle barriere fluviali obsolete per ripristinare le pianure di natura alluvionale e le aree fluviali in generale.

Gli Stati membri hanno risposto positivamente nel 2021 eliminando 239 barriere e nel 2022 è stata raggiunta la quota 325, come indicano dati forniti dal rapporto Dam Removal Europe. Purtroppo manca ancora l’Italia, come si vede da questo schema pubblicato nel citato rapporto al cui gradiente di colore corrisponde la risposta dei Paesi europei in base al numero di rimozione delle barriere. [fig.4]

 

fig. 4_Livello di adesione degli Stati membri europei alla Proposta. Fonte: Rapporto Dam Removal Europe. (2022)

 

E’ un’assenza inspiegabile, perché l’Italia rappresenta il Paese dell’Europa settentrionale che detiene il maggior numero di risorse idriche, con ben 7.546 corsi di acqua. E i dati dinamici consultabili sul database IdroGEO dell’I.S.P.R.A. non sono tranquillizzanti.

 

fig. 5_ Database Idrogeo. Fonte: https://idrogeo.isprambiente.it (18.06.2023)

 

Secondo quanto riportato dall’ultimo bilancio dell’Osservatorio Città Clima di Legambiente, nel 2022 l’Italia ha subito un totale di 104 alluvioni e allagamenti causati dalle piogge intense, 13 esondazioni fluviali, 9 fenomeni importanti di grandinate e 11 frane causate dalle piogge.

E nei primi 5 mesi del 2023 sono stati registrati 122 fenomeni meteorologici di grande portata distruttiva. Tra questi, una serie di eventi estremi e concatenati, verificatisi soprattutto in Emilia-Romagna e Marche, culminati con un grave dissesto idrogeologico.

I danni causati agli edifici e alle infrastrutture, la distruzione delle produzioni agricole, per non dire delle vittime, sono ben noti.

 

fig. 6_Eventi dei principali fenomeni climatici del 2022. Fonte: dati Osservatorio Legambiente. (2022)

 

In questo caso si è parlato della concomitanza di una serie di fattori climatici estremi, non prevedibili, che hanno determinato eventi catastrofici alluvionali e geologici. Ma i danni non sarebbero stati così ingenti con una adeguata manutenzione e monitoraggio continuo delle aree sottoposte a rischio idrogeologico a causa soprattutto della impermeabilizzazione dei territori dovuta alla cementificazione, ai disboscamenti, all’alterazione dei corsi d’acqua e alle obsolescenza delle infrastrutture.

Il fatto è che in Italia non si è ancora attivato un processo sistematico e coordinato per tutelare il territorio e l’ambiente dal rischio idrogeologico, nonostante la quantità della risorsa idrica rinnovabile sia stimata pari a circa 116 miliardi di metri cubi. Il tasso di sostituzione delle reti idriche nazionali del 25% è un dato ancora molto basso poiché stiamo parlando di strutture obsolete in funzione da oltre 50 anni.

Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), benché redatto nel 2016, ad oggi non risulta approvato perché è ancora in corso il procedimento di Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.).

Inoltre fin dal 2018 un gruppo di lavoro tecnico-scientifico formato da architetti, geologi, giuristi e altri specialisti, hanno elaborato una proposta di legge a livello nazionale per la difesa del suolo non ancora sottoposto a speculazioni edilizie e per promuovere il riuso del patrimonio immobiliare ad oggi inutilizzato. Come molte leggi su questo tema è rimasta ferma, mentre altre simili sono state presentate.

Allora la domanda è: perché i nostri “Principi” non prendono in mano la situazione e fanno in modo di dotare l’Italia di una Legge Nazionale fortemente orientata sui principi del freno al consumo del suolo, della rinaturalizzazione, della manutenzione ambientale e della prevenzione, assicurando anche il coordinamento delle Leggi Regionali esistenti?

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Rocco Lafratta 23 Giugno 2023 - 12:34

Articolo molto interessante che merita approfondimenti.

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