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La “legge truffa” fu davvero una tentata truffa

I patti di Yalta e Potsdam

by Luigi Gravagnuolo
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Perché la sinistra social-comunista italiana definì truffaldina la Legge elettorale n. 148 del 1953? Al confronto con le varie ‘porcellum’, ‘italicum’ e ‘rosatellum’ dei giorni nostri, essa appare piuttosto come un monumento alla democrazia.

Prevedeva che al partito o alla coalizione che avesse superato il 50% dei voti sarebbe stato assegnato un premio di maggioranza grazie al quale si sarebbero visti assegnati il 65% dei seggi nelle Camere. L’impianto della legge era proporzionale, i cittadini avrebbero potuto esprimere le proprie preferenze e non c’erano soglie di sbarramento.

Il proposito dichiarato di De Gasperi e di Scelba era quello di rendere stabili le maggioranze uscite dalle urne, rendendo i governi meno ricattabili dai singoli peones, abilissimi a far valere l’utilità marginale dei loro voti, oltre che al riparo dal potere di veto di fatto di cui disponevano le opposizioni.

Niente di scandaloso, niente di anti-democratico. Nessuno stravolgimento della Costituzione. Tant’è che oggi in tanti – ultimo tra gli altri Antonio Polito nel suo “Il costruttore” – rimpiangono quella legge elettorale. E insieme ad essa rimpiangono gli anni di De Gasperi e della sua leadership. Leggono il passato come se fosse l’oggi. “Con i criteri della politica di oggi, sarebbe davvero impossibile accusare di <<truffa>> un tale meccanismo elettorale” scrive Polito. Già, con i criteri della politica di oggi.

A quel tempo essa rappresentò invece un tentativo di truffa. Ne erano consapevoli gli stessi promotori. Mario Scelba – che la propose prima al suo partito, poi al Parlamento – confessò a De Gasperi, suo Capo del Governo: “L’idea è buona, ma se noi proponiamo una simile legge questa sarà chiamata <<truffa>> e noi saremo chiamati <<truffatori>>“. Soffiata mai smentita, arrivata a Indro Montanelli  e da lui spoilerata.

Prima ancora che da Togliatti dunque, fu nel seno del gruppo dirigente della Democrazia Cristiana che fu coniata quell’espressione. I proponenti stessi erano consapevoli che stavano tentando una truffa.

Ma verso chi e perché?

Attenzione, quella legge non fu definita ‘legge scellerata’, o ‘legge infame’ o ‘legge forcaiola’. No la si etichettò ‘legge truffa’. Chi dunque si sentì raggirato? Evidentemente chi aveva pattuito le condizioni per la pacificazione del Paese dopo la tragedia del ventennio e della guerra e vedeva in quella legge la violazione dei patti da parte della Democrazia Cristiana e degli USA. Stiamo parlando con tutta evidenza del PCI e di Stalin.

I patti erano stati messi nero su bianco, a valle di Yalta e Potsdam, dall’assemblea costituente. La Costituzione della Repubblica Italiana. Una costituzione ‘monca’, altro che ‘la più bella del mondo’, ci dice Polito che mutua la definizione da Giuseppe Dossetti.

Nel ‘46 l’Italia e la Germania, corresponsabili dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale erano i vinti.  Perciò condannati a subire le condizioni dei vincitori: USA, Regno Unito e Unione Sovietica. Questi tre a Yalta e Potsdam si spartirono l’Europa. L’Occidente al campo anglo-americano, l’Est all’Unione Sovietica. La Germania, il cui territorio insisteva parte ad Occidente e parte ad Oriente, fu divisa in due.

L’Italia rischiò un analogo trattamento. L’URSS, che aveva ottenuto l’annessione alla sua area geopolitica degli interi Balcani, compresa l’Istria e la Dalmazia, reclamava anche il Nord-Est dell’Italia. Il ragionamento di Stalin era semplice: mentre il Sud della penisola era stato liberato dalle forze alleate, col supporto di quello che restava dell’esercito italiano restato fedele al re Savoia, la liberazione del Nord era stata invece opera pressoché esclusiva dei partigiani. In particolare delle Brigate Garibaldi, braccio armato del PCI. Ed il Partito Comunista Italiano era la sezione italiana del Pcus. Dunque, ad avviso del tiranno del Cremlino, la pretesa era legittima. L’URSS, avendo liberato il Nord dell’Italia dal fascismo, aveva assunto il diritto di annetterlo.

Vacillò lo stesso Churchill, che pure era stato il più determinato degli alleati nel contrastare l’espansionismo della Jugoslavia di Tito. Dai suoi diari si evince che il premier inglese era arrivato anche a considerare la cessione della Venezia Giulia al campo sovietico.

Se ciò non fu e l’unità dell’Italia fu salva, lo si deve alla duplice e convergente azione da un lato di De Gasperi verso gli alleati, dall’altro di Togliatti verso Stalin.

Togliatti riuscì a convincere Stalin che per il PCI sarebbe stato insostenibile accondiscendere alla divisione dell’Italia – i partigiani avevano pur combattuto nel nome di Garibaldi! – e che era più opportuno tenere l’Italia unita, riservandosi in una seconda fase di portare tutta la penisola, nella sua integrità territoriale, nel campo sovietico.

De Gasperi, per parte sua, non faticò troppo per far capire agli anglo-americani, che la minaccia comunista era più che reale e che lasciare a Tito e Stalin il Nord-Est della penisola sarebbe stato un rischio esagerato.

Così Stalin da una parte, gli alleati dall’altra, assentirono al mantenimento dell’integrità territoriale dell’Italia – salvo la mutilazione dell’Istria e della Dalmazia e lasciando in sospeso la questione di Trieste – a patto che nella nuova Italia né la DC, né il PCI, qualora avessero vinto le elezioni, avrebbero avuto la possibilità di mettere fuori legge e fuori gioco l’altra parte.

Fu questa la pattuizione internazionale tra i vincitori della guerra. Recepita e condivisa da Togliatti e De Gasperi. Essa si tradusse nella ‘costituzione monca’ di cui parla anche Polito: “In apertura dei lavori della Costituente era stato lo stesso De Gasperi, del resto, a invitare gli eletti della Dc a far di tutto per evitare che emergesse una qualche centralità del potere esecutivo, nel timore che se ne avvantaggiassero le sinistre in caso di vittoria elettorale. Togliatti aveva la stessa preoccupazione, al contrario”.

Ecco dunque dove stava la ‘truffa’ della legge elettorale del ‘53. La DC, dopo il trionfo inappellabile nel voto del ‘48 e le successive vittorie elettorali, tra le quali quella di Roma del ‘52, sentiva in quell’anno la possibilità concreta di superare il 50% dei voti alle elezioni legislative. Con la nuova legge elettorale avrebbe avuto il 65% dei seggi parlamentari e il potere di condizionamento del PCI sarebbe svanito. Ma questo, agli occhi di Stalin e di Togliatti era un tradimento dei patti!

Le elezioni si svolsero il 7 e 8 giugno del ‘53 e la DC ottenne il 49,8% dei voti! Il premio di maggioranza non scattò. De Gasperi ne trasse le conseguenze. Si dimise da Capo del Governo e si ritirò dalla vita politica attiva. Morì l’anno dopo, il 19 agosto del ‘54. La costituzione restò monca, ma fu evitata una nuova stagione di sanguinose tensioni nel nostro Paese.