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La logistica integrata nel porto di Salerno. Colloquio con Giuseppe Amoruso

by Flavio Cioffi
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Il Gruppo Amoruso ha sede al Molo Trapezio del porto di Salerno (che stiamo imparando a conoscere) e rappresenta una realtà imprenditoriale di lunga tradizione, polivalente: contenitori, merci varie, terminal refrigerato in porto (tra i pochi in Italia), crociere. In questo specifico settore ha iniziato un processo di sviluppo internazionale all’interno del sistema portuale, con forti investimenti. Una voce significativa per raccontare la portualità in una logica di sistema.

Abbiamo quindi preso un caffè con l’ingegnere Giuseppe Amoruso e fatto due chiacchiere.

Il suo Gruppo lavora da fondo stiva al cliente, questo vuol dire essere un operatore logistico integrato?

Assolutamente si! La nostra attività nasce nel 1920, quando il mio bisnonno iniziò come spedizioniere doganale. Poi mio nonno aggiunse l’attività di terminalista che abbiamo sviluppato personalizzando i servizi ai nostri clienti,  ai quali oggi offriamo il ciclo completo dall’arrivo della merce nel porto alla consegna allo stabilimento con tempi, costi e modalità di ricezione tarati sulle sue esigenze.

 

 

Cosa mi dice della sicurezza del suo terminal?

Noi siamo leader nel porto di Salerno nella gestione terminalistica delle merci che non arrivano containerizzate, quasi il 90% dell’intero traffico, e questa attività si svolge in parte in aree in concessione, con terminal chiusi e ben sorvegliati, e in parte in aree utilizzate da più operatori perché servono a coprire i picchi di lavoro che si possono generare nelle varie imprese, le cosiddette aree a rotazione d’uso.

Mettere in sicurezza queste aree non è semplice perché non si ha la certezza di ammortizzare il necessario investimento. Ci stiamo ragionando e stiamo collaborando con l’Autorità portuale per migliorare la situazione e renderle sicure, non solo per le merci ma soprattutto per i nostri dipendenti. Ho suggerito all’Autorità di aprire un tavolo tecnico di confronto con tutti gli operatori interessati per risolvere la situazione e spero che il mio consiglio venga ascoltato.

 

Qual è la vera mission del porto di Salerno?

Il porto deve servire l’industria. Penso, tra gli altri, all’importanza ed al ruolo strategico che ha Salerno per la FCA. Noi ne gestiamo l’importazione della materia prima, la quasi totalità delle lamiere che vanno agli stabilimenti del Centro-Sud Italia per lo stampaggio delle auto. Questa è la strada da percorrere: da un lato sviluppare sempre più capacità attrattiva su scala mondiale, offrendo all’industria un reale valore aggiunto competitivo nel mercato globale al quale fanno riferimento e dall’altro dare alle compagnie di navigazione internazionali le possibilità di crescita offerte dall’indotto industriale acquisito.

 

Ormai da oltre un anno è nato il sistema portuale regionale, pur tra le molte riserve degli operatori salernitani. Lei come giudica questa scelta?

Il porto di Salerno è tra i primi porti in Italia per volume di traffico operato e noi operatori ci siamo un po’ spaventati per le modalità con le quali poteva avvenire questo accorpamento tra due sistemi portuali così complessi come lo sono Napoli e Salerno. I nostri concorrenti non sono a Napoli o a Genova, ma a Rotterdam e nel resto del Nord Europa, quindi temevamo che il percorso di crescita, anche infrastrutturale, degli ultimi anni potesse essere rallentato, con la compromissione delle nostre best practice nel rapporto pubblico-privato.

Infatti, se il porto di Salerno è una realtà ben articolata, quello di Napoli lo è molto di più perché lì ci sono la cantieristica, il petrolio, il turismo, ci sono differenze anche in ordine alle tasse portuali, ai titoli ed oneri concessori.

In realtà la nuova Autorità portuale ha preso in seria considerazione le esigenze del porto di Salerno e i nostri timori sono stati mitigati. Oggi esiste una squadra che lavora bene. Il presidente Spirito è un uomo che ascolta e dà voce agli imprenditori confrontandosi con loro, ma bisogna ancora lavorare per integrare la gestione dei due porti ed instituire una governance locale per l’ordinaria amministrazione.

 

Lei ha accennato agli oneri concessori. A Napoli si sostiene che siano tra i più alti d’Italia e comunque molto più costosi che a Salerno per via del diverso regime del ciglio banchina.

Infatti, questo è l’elemento di differenza più importante. Nel porto di Salerno le concessioni partono da 18 metri alle spalle del ciglio di banchina che rimane nell’esclusiva gestione dell’Autorità portuale, quindi gli operatori la usano solo quando operano una loro nave. C’è un regolamento ormeggi ben studiato che consente di ruotare in maniera efficiente e sicura tutti gli ormeggi del porto con un coefficiente di occupazione elevatissimo.

A Napoli c’è una disponibilità di ormeggi molto maggiore ed è stata seguita l’impostazione di tutti i più grandi porti italiani, con cigli di banchina in concessione, durate pluriennali e conseguentemente oneri concessori più alti, ma anche maggiori introiti per i terminalisti. Il porto di Salerno, invece, è piccolo e il nostro tipo di gestione ci consente di essere i primi in Italia, se non in Europa, per quantità di merci sbarcate in rapporto alla superficie. Questa è la chiave del nostro successo come porto.

Tutti sostengono la necessità di fare squadra tra i soggetti pubblici e quelli privati. In che misura questo oggi avviene?

La collaborazione pubblico-privata è indispensabile per avere una visione complessiva dello sviluppo portuale. Oggi esiste un dialogo importante, ma le velocità sono diverse e siamo ancora soggetti a procedure burocratiche abnormi. Gli operatori sono pronti ad investire in una logica di sistema, ma la Pubblica Amministrazione deve fare di più. Al porto di Salerno manca la ferrovia, l’opera di Salerno Porta Ovest non è conclusa e per noi è un dramma, servono i dragaggi, l’allargamento dell’imboccatura, dobbiamo creare una retroportualità comune. Bisogna, in ultima analisi, fare massa critica con il sistema  ferroviario ed aeroportuale, e porre la portualità al centro del sistema economico nazionale, creando percorsi burocratici snelli per il loro sviluppo che, è bene ricordarlo, genera quasi il 3% del PIL nazionale.

 di Flavio Cioffi