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La pesca illegale dei datteri di mare e la giurisprudenza penale campana

L'esperienza di Arpa Campania

by Stefano Sorvino
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L’Autore è Direttore Generale di Arpa Campania.

 

In Campania si è di recente formata un’avanzata giurisprudenza penale sulla tutela dell’ambiente marino, costituita da alcune esemplari condanne emanate negli ultimi anni dai Tribunali di Napoli e Torre Annunziata per la pesca illegale di datteri di mare su alcuni tratti della costa campana. Ai “datterari” napoletani e stabiesi è stato tra l’altro imputato il delitto di disastro ambientale, introdotto dalla legge del 2015 sugli “eco-reati” di cui si è potuta constatare la concreta utilità anche in queste fattispecie.

Il dattero di mare (Lithophaga lithophaga) è un mitile che allo stato larvale vive libero in acqua e poi in età adulta si insinua nelle rocce calcaree, corrodendole mediante secrezioni acide emanate da apposita ghiandola e scavandovi cunicoli e gallerie, con una crescita estremamente lenta (impiega oltre dieci anni per raggiungere circa dieci centimetri). Un prodotto molto costoso ed apprezzato in gastronomia ma il cui consumo, detenzione e pesca sono severamente vietati dalla normativa internazionale, euro-unionale e statale. E più precisamente: il Regolamento unionale 1626/1994 ed oggi il vigente 1967/2006 relativo al Mar Mediterraneo; a monte, una serie di convenzioni internazionali tra le quali Berna 1979, Washington-CITES di cui al Trattato ONU del 1973, Barcellona 1976 per la protezione del Mediterraneo dai rischi dell’inquinamento; la Direttiva UE 43/1992 (“Direttiva habitat” recepita in Italia con DPR 357/1997) relativa alla conservazione degli habitat naturali e semi naturali e della flora e fauna selvatiche. Ma l’Italia è stata tra i primi Paesi ad interdire tale devastante e dannosissima pesca, con il decreto 401/1988 dell’allora Ministero della Marina Mercantile, rinnovato annualmente e consolidato in via definitiva nel 1998.

Il vigente Regolamento CE 1967/2006, citato prima, vieta dettagliatamente la cattura, la detenzione a bordo, il trasporto, lo sbarco, il magazzinaggio, il commercio, l’acquisto, la vendita e l’esposizione del dattero di mare e di quello bianco, in quanto la loro forzata enucleazione dall’habitat naturale in cui sono biologicamente incardinati depaupera gli ecosistemi marini e comporta il grave danneggiamento delle rocce e dei fondali delle coste interessate.

L’attuazione della Direttiva “Habitat” ha determinato sul piano sanzionatorio anche l’introduzione dell’art. 727-bis del Codice penale, che punisce l’uccisione, la distruzione, la cattura, il prelievo e la detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette. Quanto, in particolare, agli ambienti tutelati dalla stessa, l’art. 733-bis del Codice penale sanziona la distruzione o il deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto interdicendo tutte le attività di cattura “con strappo” del dattero di mare, cui in Campania sono risultati dediti per lungo tempo gruppi criminali organizzati di Napoli e dell’area stabiese.

Il motivo di tanta articolata severità della normativa consiste proprio nel pesante ed irreversibile nocumento all’ecosistema marino prodotto dalla violenta estrazione del dattero, praticata con l’utilizzo di martelli anche pneumatici e di esplosivi, con la conseguente distruzione delle rocce calcaree in cui tale mollusco scava cunicoli e gallerie, causando l’irreparabile desertificazione dell’habitat costiero ed il conseguente deserto biologico delle rocce così scarnificate.

 

 

Ciononostante, si è purtroppo sviluppato, in varie regioni costiere, un fiorente mercato illegale ad opera non di predatori isolati ma piuttosto di organizzazioni strutturate anche sul piano commerciale e talvolta collegate con la criminalità organizzata, incentivate dalla lucrosa domanda del gustoso ed ambito prodotto per tavole di lusso. Non solo banale pesca di frodo, dunque, ma ben peggiore delitto ambientale. Per fortuna tale pratica non è rimasta impunita ed è stata oggetto di una efficace azione repressiva da parte delle Autorità giudiziarie e delle polizie specializzate, soprattutto Capitanerie di Porto e reparti navali della Guardia di Finanza.

Significativo è proprio il caso della Campania, caratterizzata da una notevole estensione di costa rocciosa in larga parte pregiata, aggredita da attrezzate bande criminali dedite a tale pesca illegale nel Golfo di Napoli, con pesanti devastazioni dell’habitat marino-costiero consumate in modo prolungato soprattutto nell’area stabiese, in siti protetti della Penisola sorrentina ed anche nell’isola di Capri (nella zona dei Faraglioni), allo scopo di conseguire cospicui profitti illeciti.

Per il contrasto e la repressione sono state svolte nell’ultimo quinquennio efficaci azioni di polizia ambientale, anche con l’applicazione di misure cautelari seguite da pesanti sentenze di condanna da parte dei Tribunali di Napoli e Torre Annunziata – dal 2022 e con una serie di dibattimenti ancora in corso – ritenute di valore storico per l’esemplarità delle pene irrogate. Anche in virtù della prima applicazione in questo ambito della grave imputazione di “disastro ambientale” in luogo delle precedenti e blande fattispecie contravvenzionali. Si segnalano in particolare: la sentenza 360/2022, a seguito di giudizio immediato, del GIP del Tribunale di Napoli; del Tribunale di Torre Annunziata del 20.10.2022; della III sez. penale del Tribunale di Napoli, 333/2024; oltre alle significative pronunce della Corte di cassazione emanate in via incidentale a conferma delle misure cautelari adottate.

Le investigazioni ed i vari procedimenti penali incisivamente promossi dalle Procure della Repubblica di Napoli e Torre Annunziata si sono alimentati di un solido impianto probatorio che ha retto il vaglio dibattimentale ed hanno registrato l’attiva costituzione di parte civile di numerose associazioni ambientaliste, indicativa di una matura e diffusa sensibilità ambientale, del Ministero dell’Ambiente e di vari altri enti. Le varie sentenze hanno evidenziato la gravità dei fatti di reato.

 

 

La quantificazione e stima dei danni ambientali hanno richiesto in giudizio l’espletamento di qualificate consulenze tecnico-scientifiche, svolte dall’Università Parthenope e dal CNR-Geomare di Napoli, in particolare per l’area marina protetta dei Faraglioni di Capri e del Molosiglio e delle strutture antemurali del porto di Napoli, laddove le operazioni dei “datterari” hanno devastato il substrato roccioso. I consulenti della magistratura hanno calcolato l’estensione della superficie di roccia danneggiata nelle aree interessate, dal 24 al 60%, rilevando segni di un diffuso degrado degli ecosistemi che incide anche sulla componente biologica, con il pernicioso effetto di una generale diminuzione della biodiversità negli habitat costieri. In una delle consulenze si sottolinea che è stato provocato “non solo un danno permanente dovuto all’escavazione definitiva ed all’esportazione definitiva ed irreversibile di frammenti di rocce del fondale, ma anche un danno potenzialmente irreversibile alle comunità biologiche che vivono sui fondali rocciosi.

Atteso il devastante impatto esercitato dalla pesca di frodo sull’intero sistema marino, il giudice penale ha ritenuto sussistere il reato di disastro ambientale irrogando condanne fino a sei anni di carcere, dotate di adeguata efficacia deterrente. Queste recenti sentenze testimoniano l’opportunità delle importanti modifiche introdotte dalla legge 68/2015 sugli eco-reati, che hanno consentito finalmente di comminare ai criminali ambientali pene proporzionate alla gravità degli illeciti commessi, in passato punibili solo in modo tenue a titolo di contravvenzione alla stregua di violazioni bagatellari, ed anche l’applicazione della incisiva misura della confisca che precedentemente non risultava praticabile.

La stessa Corte di cassazione si è pronunciata sull’adozione di misure cautelari a carico dei pescatori abusivi del dattero di mare, convalidandole per l’adeguatezza delle motivazioni (inter alios Cass. Sez. III Pen. 13. 9. 2023, n. 37319) sulla base di una analitica ricostruzione. Secondo la Suprema Corte “il dattero di mare è considerato una specie di primaria importanza per la conservazione degli equilibri naturali degli ecosistemi costieri. (…) La pesca abusiva del dattero di mare, non come singolo episodio isolato, ma come attività organizzata, presenta tutti i requisiti per l’applicazione di misure cautelari“.

Sul piano conoscitivo, Arpa Campania ha maturato significativa esperienza nell’attuazione a mare della “Direttiva Habitat” per la determinazione del buono stato ambientale e della Direttiva quadro sulla Strategia Marina (Marine Strategy 2008/56/CE), sottoscrivendo tra l’altro nel 2022 un accordo di collaborazione con ISPRA per la realizzazione in Campania del programma di monitoraggio relativo alle due specie protette: “Pinna nobilis” e “Lithophaga lithophaga“. Il monitoraggio del dattero di mare è stato così effettuato sperimentalmente nelle due località più significative di Punta Gradelle (Punta Scutolo) ed Alimuri nel comune di Vico Equense, oggetto a lungo di intense attività di pesca illegale, secondo le indicazioni metodologiche di ISPRA, attraverso puntuali campagne di rilievi visivi sui tratti di roccia potenzialmente interessati.

 

 

I risultati del monitoraggio dell’Agenzia hanno purtroppo registrato evidenti e devastanti segni di pesca di frodo del mollusco, con la rilevazione quantificata sia dì tratti a desertificazione completa con danno elevato, sia di numerose aree denudate con danno di media entità e, rispetto al totale, solo di scarse aree denudate con assenza di danno per la pregressa consumazione di prolungate attività di estrazione illegale, solo di recente individuate e represse penalmente.

La significativa vicenda dei datteri dimostra quanto sia necessaria un’azione vigile e permanente di tutela dell’habitat e degli ecosistemi marini, non meno vitali di quelli terrestri per gli equilibri ambientali, messi a rischio non solo da fattori naturalistici, come quelli oggi indotti dai cambiamenti climatici con il surriscaldamento del mare, ma anche dall’azione aggressiva e concorrente di fattori antropici talvolta, come visto, determinati da moventi criminali e lucrativi. Inoltre comprova quanto sia risultato positivo ed opportuno, accanto al necessario sviluppo delle attività di controllo e prevenzione, l’inasprimento della leva sanzionatoria e della risposta punitiva penale della magistratura, accompagnata dalla maggiore attenzione e sensibilità sociale e dalla consapevolezza collettiva di quanto sia giusto e necessario preservare l’ambiente in ogni aspetto e modalità da tutte le possibili forme di aggressione.

 

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