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La rivoluzione di febbraio

Fine del regime zarista

by Giulia Cioffi
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Il 23 febbraio 1917 (8 marzo per il calendario gregoriano) scoppiò una grande rivoluzione urbana nelle strade di San Pietroburgo, che nel frattempo, per patriottismo bellico, era stata ribattezzata Pietrogrado, perdendo così il suffisso “burg” di derivazione tedesca.

Diversamente dalla successiva rivoluzione di ottobre, quella di febbraio nacque in modo spontaneo dal basso, vedendo protagoniste le donne dei quartieri operai della periferia, in particolare del distretto di Vyborg, una zona industriale a nord della città.

Quel giorno si celebrava la Giornata Internazionale della Donna, ma le rivendicazioni assunsero fin da subito un tono politico. Le donne manifestavano contro la scarsità di pane e la fame che da mesi tormentava la popolazione, acuita da un inverno eccezionalmente rigido, con temperature sotto i -20°C.

Alle prime file di manifestanti si unirono presto migliaia di operai delle grandi fabbriche, moltiplicando gli scioperi e riempendo le strade della capitale in poche ore.

La consueta tattica difensiva della famiglia reale consisteva nell’elevare i ponti che attraversavano il Neva, impedendo così l’attraversamento del fiume da parte dei rivoltosi e il raggiungimento del centro e cuore del potere. In tale occasione, però, suddetta misura si rivelò inefficace: a causa del gelo le acque del fiume erano completamente ghiacciate e la folla riuscì ad attraversarle a piedi.

 

Palazzo d’Inverno, S.Pietroburgo

 

A mali estremi, estremi rimedi, e fu così che le guardie del palazzo furono istruite di sparare sulla folla per disperdere i rivoluzionari.

Ciò che però accadde fu ancor più rivoluzionario della mobilitazione stessa; dopo pochi iniziali colpi, la guarnigione militare della città depositò le armi per unirsi alle proteste, rifiutandosi di eseguire gli ordini.

Anche i soldati, perlopiù giovani contadini richiamati alle armi, soffrivano il freddo e la fame, e il timore di essere inviati al fronte fu un fattore cruciale nella decisione di unirsi al popolo.

Pochi giorni dopo, il 27 dello stesso mese, le masse controllavano la città; gli edifici governativi vennero occupati, le prigioni aperte, i giornali censurati dal regime ripresero a pubblicare. I ministri del governo si dimisero o furono arrestati, e la Duma si riunì in sessione straordinaria.

Lo zar Nicola II, che si trovava al quartier generale di Mogilev, fu informato della gravità della situazione e tentò di rientrare a Pietrogrado per riprendere in mano il potere. Ma il treno imperiale fu fermato e deviato dalle stesse forze armate che ormai avevano rotto ogni fedeltà dinastica. Il generale Alekseev, comandante del fronte, insieme a una delegazione della Duma, raggiunse lo zar per convincerlo ad abdicare in favore del fratello, il Granduca Michele Aleksandrovič.

Lo zar firmò l’atto di abdicazione il 2 marzo, ma anche questo gesto non bastò a salvare il potere imperiale. Il giorno seguente, il Granduca Michele, comprendendo che la monarchia non aveva più alcuna legittimità né sostegno popolare, rinunciò a salire al trono. Dichiarò che avrebbe accettato il potere solo se fosse stato il popolo, attraverso un’Assemblea Costituente, a offrirglielo. Ciò non avvenne mai, e il popolo continuava a richiedere l’instaurazione della repubblica.

Fu così che il 3 marzo 1917 ebbe ufficialmente fine la monarchia zarista, ponendo termine a oltre tre secoli di dinastia Romanov. La famiglia imperiale fu posta sotto custodia in una residenza protetta, in attesa di decisioni future. Il potere passò temporaneamente a un Governo Provvisorio presieduto da Georgij Lvov, espressione delle forze liberali e moderate, mentre nei quartieri operai e tra i soldati nascevano ovunque soviet, consigli rivoluzionari decisi a difendere la rivoluzione appena nata.

 

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