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La triconferma di XI Jinping

by Giulio Espero
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Pare che il leader cinese soffrisse un po’ il fatto che Obama, ma finanche Napolitano e Mattarella, avessero già avuto il secondo mandato presidenziale. Ha deciso di superarli e si è fatto eleggere per la terza volta Presidente della Repubblica Popolare Cinese nonché Segretario Generale del Partito. Putin è ancora lontano con i suoi quattro mandati, ma la guerra in Ucraina probabilmente sarà la sua tomba politica.

Oddio, elezioni è una parola grossa che può trarre in inganno noi occidentali: niente manifesti con i volti dei candidati, niente dibattiti in tv, niente promesse di sgravi fiscali e condoni, ma soprattutto niente fastidiosissime chiamate alle urne (specialmente nei weekend quando ancora si può andare al mare).

In effetti lo stesso Mao Zedong, tempo addietro, aveva deciso di liberare i cinesi dalla noiosissima incombenza di andare a votare, perché il Partito Comunista Cinese “…guida governo, esercito, società, istruzione, Est, Ovest, Nord, Sud, Centro, il Partito controlla tutto anche sé stesso…

Diciamo una gioiosa macchina da guerra riuscita decisamente meglio (ma si sa, noi italiani siamo un po’ fanfaroni). Un congresso, quello iniziato il 16 ottobre, preparato alla stregua di un rito pagano, nella più assoluta riservatezza e totale segretezza, che i meglio Conclavi Papali al confronto sembrano l’elezione del rappresentante di classe del liceo.

Più di un miliardo di cinesi (in verità un miliardo e quattro, ma con i cinesi, si sa, i numeri sono sempre un problema) hanno seguito con trepidazione il congresso del partito comunista, ma non perché si aspettassero colpi di scena che peraltro non sono previsti proprio dalla costituzione. La designazione del vecchio XI era più che scontata, tautologica direbbero quelli che sanno parlare bene. La vera speranza per i cinesi è che dopo l’incoronazione, l’imperatore allenti un pochino la presa sulla vita dei cittadini a causa delle restrizioni da Covid. Insomma, gli abitanti di Pechino vogliono sapere se possono uscire a mangiarsi una pizza in grazia di Dio (o giù di lì).

Cosa dobbiamo aspettarci noi occidentali, molli e decadenti, dalla triconferma di XI Jinping? La maggior parte spera di poter continuare a comprare tranquillamente cuffiette per il cellulare a cinque euro dal “cinese” sotto casa, molti non se ne fregano niente, moltissimi sono terrorizzati che qualche politico nostrano possa prendere esempio dalla campagna anticorruzione attuata dal presidentissimo negli ultimi dieci anni (fonti ufficiali parlano di un milione e mezzo di teste cadute di funzionari corrotti).

Biden, tra una gaffe e l’altra, appare distratto dalla probabile scoppola elettorale che prenderà il Partito Democratico alle vicine elezioni di midterm il prossimo 8 novembre. Putin invece sembra preoccupato seriamente di non trovarselo più alleato non belligerante nella guerra contro l’Ucraina che doveva vincere in un paio di mesi (ha provato a regalargli una decina di casse di vodka, ma pare che XI Jinping non beva perché ha problemi di fegato).

Il compagno XI Jinping, il più rosso dei rossi secondo alcuni, fu eletto per la prima volta nel 2012 Segretario Generale del Partito e lanciò subito lo slogan Zhong Guo Men, tradotto come “Sogno Cinese”, una sorta di American Dream in salsa di soia. I risultati però negli ultimi anni non sono stati eccezionali, forse anche a causa della pandemia Covid che proprio non ha voluto saperne di piegarsi alla luminosa e celeste volontà del partito comunista. La promessa “prosperità condivisa” sembra non riguardare milioni di giovani cinesi, per i quali la disoccupazione nella fascia di età tra i sedici e i venticinque anni ha superato il 19% a luglio di quest’anno.

Per risolvere il problema si vocifera che XI voglia prendere esempio dall’Italia e stia pensando ad un’imitazione cinese del reddito di cittadinanza. Informato della situazione, il buon Luigi di Maio si è dichiarato da subito disponibile e si è prontamente dimesso da segretario di Impegno Civico.