Anno 1861: la sera del 13 Febbraio, dopo tre mesi di strenua resistenza borbonica, venne firmata la resa della Piazzaforte di Gaeta, assediata dall’esercito piemontese comandato dal generale Enrico Cialdini, cinico stratega e spietato cannoneggiatore.
L’indomani Francesco II di Borbone, Re delle due Sicilie, s’imbarcò per l’esilio con la moglie Maria Sofia di Baviera, salutato dai propri soldati al grido di “Viva ‘o rre nuosto”..
I Piemontesi lamentarono 50 morti e 350 feriti, molti dei quali sono ricordati in lapidi, strade e piazze italiane. Per i Napoletani si stimarono invece, in difetto, 560 morti in azioni di guerra, 307 morti per ferite e infezioni, oltre 800 feriti e ben 743 dispersi. Gli sconfitti mai – o quasi – sono stati ricordati nella storiografia italiana risorgimentale e postunitaria.
Il grande poeta Ferdinando Russo celebrò la caduta di Gaeta e la morte del Regno delle due Sicilie con un poema in lingua napoletana di quattrocento strofe in cinquanta versi, dal titolo: ‘O surdato ‘e Gaeta.
Il poeta, nel suo lungo poema in lingua napoletana, aveva fatto così parlare un reduce dell’assedio di Gaeta, mutilato e povero, nell’Italia dei Savoia:
“Io m’arricordo tutta ’a funzione! Maria Sufia, ’o Rre, strille, lamiente, ’a famma, ’o tifo, ’e mbomme a battaglione, ’a forza ’e core ’e chilli reggimente, ’a lampa nnanz’ ’a vocca d’ ’o cannone, case cadute, cchiesie sgarrupate, e Francischiello ’nzieme cu ’e suldate!”
Russo fu quindi accusato di Borbonismo e per questo processato più volte.
Gli esiti delle polemiche sanremesi su Geolier e la sua canzone I p’ me, Tu p’ te -indipendentemente dalle posizioni espresse dall’intellighentia napoletana sull’uso e sull’abuso della Lingua Napoletana – affondano le proprie più profonde radici in questi trascorsi storici, drammatici e irrisolti.
Nascosti, come la polvere, sotto il tappeto della Storia dell’Italia (dis)unita.