Il governo lavora alla possibilità di costruire un ‘”divorzio consensuale” da ArcelorMittal per provare, ancora una volta, a dare un futuro allo stabilimento ex Ilva di Taranto. L’ipotesi ha preso forma nel corso del vertice che si è tenuto l’11 gennaio in serata a Palazzo Chigi tra il governo e le parti sociali. Si starebbe studiando lo scenario di una soluzione negoziale che eviti un probabile lungo contenzioso legale. I legali sono al lavoro per trovare la formulazione giuridica ed anche il possibile accordo economico tra le parti.
Il valore economico della transazione costituisce un nodo centrale nella trattativa che si svolgerà nei prossimi giorni. Il colosso multinazionale indiano ha fatto trapelare la sua disponibilità a tale soluzione, lasciando intendere però che intende monetizzare in modo adeguato la sua partecipazione all’azienda tarantina. Appare difficile che, per sbrogliare la complicatissima matassa dell’ex Ilva, si possa evitare la strettoia di un commissariamento. Sarebbe il secondo passaggio di questa natura, dopo quello che era già avvenuto nel 2013 con Enrico Bondi.
Esecutivo e parti sociali torneranno a incontrarsi mercoledì 18 gennaio per riferire l’esito delle trattative in corso. Il governo sottolinea che il suo primo obiettivo è “la continuità produttiva dell’azienda”. Il colosso indiano detiene il 62% di Acciaierie d’Italia, il più grande polo siderurgico nazionale, mentre la partecipazione pubblica al momento è al 38% tramite Invitalia. L’azienda da mesi ha necessità di una immediata iniezione di liquidità per assicurare la continuità aziendale e garantire la stabilità occupazionale di un polo che complessivamente conta 20mila lavoratori, incluso l’indotto.
Nei giorni scorsi ArcelorMittal ha prima comunicato al governo la sua indisponibilità a far salire al 66% le quote in mano ad Invitalia tramite un aumento di capitale da 320 milioni, poi ha aperto a questo scenario chiedendo però che il controllo societario rimanesse condiviso. Disponibile ad accettare di scendere in minoranza ma non a contribuire finanziariamente in ragione della propria quota. Scaricando l’intero onere finanziario sullo Stato ma nel contempo reclamando il privilegio concesso negli originali patti tra gli azionisti, realizzati quando diedero vita alla società Acciaierie d’Italia, di condividere in ogni caso la governance, così da condizionare ogni ulteriore decisione. Cosa che non è accettabile, né percorribile sia nella sostanza che alla luce dei vincoli europei sugli aiuti di Stato.
Ora si apre la strada di un possibile controllo pubblico, magari in amministrazione straordinaria, accompagnato dalla ricerca di nuovi investitori. Il governo intende “invertire la rotta cambiando equipaggio e delineando un piano siderurgico nazionale che sia costruito su quattro poli complementari attraverso un progressivo rinnovamento, modernizzazione e specializzazione degli impianti esistenti”, sottolinea Urso. Il titolare del Mimit auspica: “Una svolta netta rispetto alle vicende per nulla esaltanti degli ultimi dieci anni”.
“Il governo ha detto che l’incontro con i vertici di Mittal ha chiarito che non si può proseguire con la gestione condivisa di Acciaierie d’Italia e ci ha confermato che in queste ore i tecnici di Invitalia e i tecnici di Mittal stanno lavorando su 3 punti: il divorzio consensuale, che ridurrebbe il pericolo di un contenzioso futuro, la continuità aziendale e produttiva, anche se la forma ancora non è stata definita, che è pronto anche senza i Mittal a mettere le risorse necessarie per il rilancio”, chiarisce il segretario Generale Fim-Cisl Roberto Benaglia.
“Il Governo lavorerà per divorziare da ArcelorMittal, si spera in maniera consensuale. Si attende il parere dei legali per arrivare alla scelta definitiva”, aggiunge Rocco Palombella, segretario generale Uilm.
“Finalmente il governo ha deciso di non tornare indietro e di procedere sulla strada di assumere la gestione dell’azienda. Questo è il punto su cui con i lavoratori e le lavoratrici abbiamo insistito: salvaguardare il futuro occupazionale dell’azienda e l’ambiente. Oggi il governo ha risposto anche alla nostra richiesta di mettere in sicurezza anche da un punto di vista della salute”, argomenta il segretario della Fiom-Cgil Michele De Palma.
Palazzo Chigi riferisce di aver dato “massima disponibilità, una volta chiuso il confronto con ArcelorMittal, a far partire presso il Ministero del Lavoro un tavolo per approfondire tutti gli aspetti legati all’occupazione e alla sicurezza sul lavoro”.
Per il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, invece, “la nazionalizzazione dell’ex Ilva ha un senso se tu hai in mente delle proposte del futuro. Non credo sia la strada finale, se è un ponte ha un senso. Se invece deve essere solo in una logica elettorale allora non va bene”. Per il leader degli industriali: “Si sono trovate soluzione per comprare tempo, ora i nodi vengono al pettine. Da 4 anni continuo a dire che il Paese deve scegliere se l’acciaio è importante o meno”.
Siamo nuovamente in un passaggio stretto nella storia della fabbrica siderurgica di Taranto. I tentativi di rivitalizzare la produzione mediante il coinvolgimento di un socio privato si sono rivelati sinora inutili, se non controproducenti. Con ogni probabilità, dopo la liquidazione del socio Arcelor Mittal e un nuovo periodo di commissariamento, si tenterà nuovamente di collocare l’azienda sul mercato. Intanto, lo Stato continua a tirare fuori una montagna di quattrini per tenere aperto il sito produttivo in una condizione di calante competitività strategica.