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Le Autostrade dimenticate

by Alessandro Bianchi
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Le Autostrade dimenticate sono quelle del Mare.

Così almeno sembra constatando che nel “Piano Nazionale di Recupero e Resilienza” – ormai da tutti considerato come l’irrinunciabile riferimento per ricostruire l’Italia dopo i disastri della pandemia – non si trova un solo rigo in cui si parli di Autostrade del Mare.

La cosa appare particolarmente difficile da capire se si pensa che all’interno del Governo Draghi è stato istituito il “Ministero della Transizione Ecologica” e che il Ministero che si deve occupare di infrastrutture e trasporti ha cambiato nome diventando “Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili”.

Due fatti dai quali sembrerebbe emergere un’attenzione quanto mai opportuna al tema della sostenibilità nel campo della mobilità, e una quanto mai auspicabile transizione ecologica nel medesimo campo.

Allora per quale misteriosa ragione nessuno parla più delle Autostrade del Mare?

Eppure, alle spalle vi è una storia importante che prende le mosse dal “Progetto 21-Motorways of the Sea” del “TEN-T Trans European Network Transport”, approvato nel 2004 dal Consiglio Europeo proprio con l’obiettivo di sostituire il trasporto di merci via terra su gomma – costoso e inquinante – con il trasporto via mare utilizzando il sistema di cabotaggio tra i porti.

Nulla rende l’idea di ciò di cui stiamo parlando meglio della carta associata a quel progetto che disegna una rete di connessioni via mare cha va dal Mar Baltico al Mediterraneo, intercettando decine di porti europei, finalizzata ad innalzare il livello dei collegamenti con i Paesi del Nord Africa, del Mar Nero e del Mediterraneo Orientale.

Peraltro è piuttosto evidente che il Progetto 21 si attaglia perfettamente ad un territorio peninsulare come l’Italia, completamente proteso nel mare e dotato di una rete di porti lungo tutto il suo perimetro: una vera e propria piattaforma logistica nel cuore del Mediterraneo, aperta ai flussi provenienti dal Canale di Suez.

Non a caso nel 2004 venne costituita la “RAM-Rete Autostrade Mediterranee” – società in-house del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti – con la finalità di attuare il “Programma Nazionale delle Autostrade del Mare”.

E non a caso nel 2007 le “Linee Guida del Piano Generale della Mobilità” assumevano esplicitamente l’obiettivo di attuare il progetto delle Autostrade del Mare, richiamando l’attenzione sul fatto che si trattava non solo di partecipare alla realizzazione della rete TEN-T creando in Italia delle “Porte Internazionali” all’altezza di quelle del Nord-Europa, ma anche di lavorare nella stessa logica all’interno del territorio nazionale.

Detto in altri termini l’Italia deve andare oltre gli obiettivi dell’Europa che ha interesse a potenziare solo i cosiddetti porti ascellari – Genova e Trieste – perché sono quelli che aprono il Centro-Europa al Mediterraneo. E andare oltre significa mettere in gioco la moltitudine di porti ubicati lungo i versanti tirrenico, adriatico e jonico affrontando congiuntamente i due problemi: quello trasportistico e quello ambientale.

Sul primo è quasi banale tornare a sottolineare l’assurdità del fatto che il flusso delle merci su strada proveniente dal Centro-Europa, una volta entrato nel nostro Paese debba percorre altre centinaia di chilometri su strade e autostrade per raggiungere le destinazioni del Centro Sud. L’esempio più eclatante è quello del collegamento con la Sicilia: da Genova a Palermo si tratta di un percorso stradale di circa 1.400 Km che richiede un tempo di percorrenza medio di 15-20 ore; con una notte di navigazione si arriva quasi nello stesso tempo e con un costo nettamente inferiore. Ed è chiaro quale sia il beneficio che se ne trarrebbe in termini di de-congestione del traffico veicolare sulle strade.

Quanto all’aspetto ambientale è fin troppo evidente che si avrebbe un abbattimento del consumo di carburante e una netta diminuzione delle emissioni gassose, che sono tra gli obiettivi prioritari del neonato “Ministero della Transizione Ecologica”, in particolare del “Dipartimento Energia e Clima” e della “Direzione Generale per il Clima, l’Energia e l’Aria”.

Si aggiunga, infine, che una accorta politica del cabotaggio potrebbe essere estesa anche ad altri comparti oltre quello delle merci, come la croceristica e il turismo interlocale.

Dunque, se questo è il quadro della situazione attuale, torna la domanda: per quale misteriosa ragione nessuno parla più delle Autostrade del Mare?

La risposta non può che venire dai due dicasteri interessati, in tempi compatibili con la definitiva stesura del “Piano Nazionale di Recupero e Resilienza”.