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LE CITAZIONI: Alvi. Errico Malatesta, anarchico inflessibile e buono

Gelminello Alvi

by Ernesto Scelza
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A Errico Malatesta, “anarchico inflessibile e buono”, Gelminello Alvi dedica un amorevole ricordo, un tributo. Richiamando “L’ultimo delle migliaia di telegrammi che le questure d’Italia, e nel mondo universo, avevano per sessant’anni dedicato a un uomo arcaico e mai esausto: Dalla Questura; lì 22 luglio 1932, n°7956; oggetto: Malatesta Errico fu Federico e fu Lazzarina Bastoni, nato il 4.12.1853 a S. Maria Capua Vetere, domiciliato a Roma. Anarchista-Rivoluzionario-schedato. Oggi è deceduto a Roma per broncopolmonite il noto Errico Malatesta. Prego intensificare vigilanza su elementi anarchici e sovversivi.” Kropotkin ne aveva detto: “puro idealista: nella sua vita non s’è mai preoccupato se avesse un pezzo di pane per la cena o un letto per passare la notte. Senza neppure una camera che potesse chiamar sua, egli venderà se occorre gelati per le vie di Londra”.

 

«Chi nelle borgate che diramavano dietro le vie del centro di Roma avesse mai in quegli anni veduto il vecchio oltremodo basso, ma diritto, la gerla da elettricista meccanico a tracolla, andarsene mite, pronto al discorso, e però sempre solo, non poteva sapere che quell’uomo modesto, e colle mani callose, era stato un ricco e raffinato studente di medicina, a Napoli, tanti anni prima. Ma Pisacane e Garibaldi e l’Italia più romantica, e quei suoi occhi neri che bruciavano, gli avevano fatto abbandonare tutto: «andò al popolo», consacrò la vita alla passione della rivolta. Divenne subito amico del candido Cafiero. Da socio dell’Internazionale, diciannovenne, traversò il Gottardo a piedi. Tisico, sputando sangue, arrivò a Saint-Imier dove incontrò Bakunin; anarchico, votò per gli antiautoritari, contro Karl Marx. E insorse nelle Puglie, ma le plebi non si sollevarono; venne arrestato per uno scontro a fuoco, e quindi assolto. Quattro anni dopo ritentò nella famosa rivolta del Matese sempre con Cafiero. Finì in esilio. Nella Erzegovina insorta e in Serbia, combatté i turchi. Fu arrestato anche a Parigi per aver difeso un suo compagno che portava una corona di fiori, nel 1880, al muro dei federati, in memoria della Comune. Nell’83, in Egitto, subito fu solidale alla rivolta contro gli inglesi; dovette fuggire prima a Napoli e poi in Argentina (…). Come tutti gli anarchici venne espulso nel 1896 dalla Seconda Internazionale. Visse lungamente nei quartieri più poveri di Londra, sempre guadagnandosi da vivere, come facchino prima e poi come elettricista. Tentò, una volta, di vendere gelati, ma venne un bimbetto a guardarli; gliene diede uno; agli altri che arrivarono non seppe rifiutarli: così regalò tutto.

Nel 1898 naturalmente finì in quell’Italia di Marche e Romagna dove gli anarchici e le rivolte erano più frequenti. Partecipò all’insurrezione per il pane e fu ancora arrestato. Per le parole che disse a sua difesa nel Tribunale di Ancona, i carabinieri accanto a lui piansero, e un magistrato gli strinse la mano. Venne condannato al domicilio coatto a Lampedusa. Evase e fuggì in America, New Jersey. Arrivò ad Amsterdam; e di nuovo a Londra sempre solidale alla rivolta scrivendo, discorrendo, tramando. Nel 1913 ritornò ad Ancona, con una valigia di esplosivi. Al giovane che, in uno dei contraddittori che allora era d’uso tenere tra evoluzionisti socialisti e anarchici, lo salutava “Lenin d’Italia”, rispose disturbato: “Io sono anarchico: non voglio obbedire, ma soprattutto non posso comandare”. Dopo la guerra, a Milano, creò il primo quotidiano anarchico d’Italia, ‘Umanità Nova’.

E fu naturalmente contro Mussolini: lui aveva tradito la rivolta. Ma l’anarchismo era ormai, da anni, vinto. Solo Malatesta era rimasto, ultimo fedele (…). Di quegli anni fino al ’22, amaro, Malatesta scrisse

che era, quella, una guerra civile e di strada, “lotta ripugnante a tutti, e non giovevole a nessuno”.

(…) Ma ormai Mussolini aveva vinto. E lo sconfitto Errico Malatesta finì nella sua casa-bottega di Roma, meccanico elettricista; costretto a firmare in questura, sorvegliato con discrezione. Nel 1926, con inutile cattiveria, alcuni fascisti gli devastarono la bottega. Viveva miseramente, senza scrivere ai suoi amici che la salute gli peggiorava; per non intristirli. Si appassionò a certe riviste d’aviazione, che rileggeva miope sulle bancarelle. Docile, sulle scale a pioli accomodava impianti elettrici, donando i pochi soldi guadagnati agli amici in America che sapeva o temeva meno fortunati di lui.»

Gelminello Alvi, Uomini del Novecento.

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