Foto by Comunità di Sant’Egidio
“Caro signor Eatherly, Lei non conosce chi scrive queste righe…” inizia con queste parole, il 3 giugno 1959, il carteggio che il filosofo Günther Anders intratterrà con Claude Robert Eatherly, il meteorologo americano, che, il 6 agosto 1945, diede il via libera allo sgancio della prima arma atomica, ‘Little boy’, sulla città di Hiroshima a Paul Tibbets, al comando dell’Enola Gay: “Su Hiroshima sereno, con visibilità dieci miglia sulla quota di tredicimila piedi”. Eatherly è rinchiuso in un ospedale psichiatrico straziato dai rimorsi per il suo gesto. Ha tentato più volte il suicidio.Anders coglie il dramma che pervade la mente di Eatherly, vittima anch’egli degli effetti della bomba atomica. “Egli è stato punito solo per essersi pentito della sua partecipazione relativamente innocente a una folle azione di sterminio. I passi che egli compì per ridestare la coscienza degli uomini alla nostra follia attuale non furono sempre, forse, i più saggi, ma furono compiuti per motivi che meritano l’ammirazione di chiunque sia capace di sentire umanamente. Il mondo era pronto ad onorarlo per la sua partecipazione al massacro, ma, quando si pentì, si rivolse contro di lui, vedendo nel suo pentimento la propria condanna (Bertrand Russell).
«Dal 1945, gli esperti occidentali hanno scritto milioni di parole sugli «effetti delle armi nucleari». Ma, in questa vasta letteratura, c’è una lacuna più che essenziale. Gli specialisti hanno esaminato con la massima attenzione migliaia di rovine, decine di migliaia di superstiti della grande catastrofe, ma hanno escluso – dalle loro indagini scrupolose – qualcosa di molto importante: se stessi.
Ma, così facendo, hanno trascurato un fatto decisivo: le bombe atomiche colpiscono anche chi le usa; e perfino chi si limita a progettare seriamente il loro impiego.
Questo effetto-boomerang dei mezzi di distruzione di massa non è (è vero) di natura fisica, ma di natura psichica e spirituale. Poiché la violenza distruttiva delle «armi» atomiche, che trascende ogni esperienza bellica precedente, impone, a coloro che le abbiano usate o intendano usarle, un carico psichico che non sono in grado di elaborare consapevolmente né inconsapevolmente (…).
Tutti noi dovremmo provare e accusare lo stesso dolore, dovremmo lottare, con tutte le forze della coscienza e della ragione, contro l’irruzione dell’inumano e dell’antiumano.
Invece continuiamo a tacere, serbiamo il nostro ‘contegno’, ci diamo a divedere insensibili.
Ma è una calma solo apparente. Poiché nemmeno noi siamo all’altezza delle nuove ‘armi’. Sotto il loro peso crollano le basi della nostra esistenza politica e morale (…).
Gli Stati Uniti, che hanno introdotto quei mostri sulla scena mondiale e hanno continuato a svilupparli anche dopo il monito giapponese, sono stati anche i primi ad essere colpiti dalla ripercussione spirituale delle bombe. Com’è semplice, in fondo, il ‘caso Eatherly’, se lo si confronta con il ‘caso America’, tanto più grave perché inconfessato! Il vero oggetto tragico del dramma non sono le traversie del pilota texano, ma il fatale irretimento del suo paese e dei suoi concittadini. Per realizzare la ‘libertà dalla paura’, ha introdotto nel mondo la paura atomica; per assicurare la libertà e la felicità del singolo, crede di dover minacciare la morte a milioni e milioni di uomini.
Ma ora c’è anche il ‘caso URSS’ (oggi: Federazione russa, ndr), il ‘caso Inghilterra’, il ‘caso Francia’, il ‘caso Germania’ – e domani ci saranno, probabilmente, il ‘caso Svezia’, il ‘caso Svizzera’, il ‘caso Israele’, il ‘caso Cina’: nessun paese che si disponga ad usare, per la difesa dei suoi valori e dei suoi diritti, le ‘nuove armi’, distruttive di ogni valore e diritto, può reggere senza gravi danni al carico psichico rappresentato da questa sola intenzione.
Poiché, anche senza mai esplodere, le armi atomiche tenute esclusivamente in serbo reagiscono fin d’ora sui possibili ‘agenti’. Svuotano dall’interno la democrazia, lasciando a pochi le decisioni più importanti, producono un abbrutimento generale nelle forze armate, che devono essere sempre pronte e disposte a tutto. Distruggono nei popoli muniti di armi atomiche l’intima fede nella propria umanità e moralità.»
Günther Anders, L’ultima vittima di Hiroshima (trad. Renato Solmi).