Nella prefazione dell’estate 1950 alla prima edizione della sua opera capitale ‘Le origini del totalitarismo’, terminata nell’autunno del 1949 e pubblicata nel 1951, Hannah Arendt, la filosofa ebreo-tedesca emigrata negli Stati Uniti, mostra di essere consapevole della complessità delle vicende storiche, ma anche etico-politiche, che hanno caratterizzato un’epoca: quella delle due guerre mondiali e dei totalitarismi, appunto. Ma esprime anche le ragioni di un suo sentimento contrastato, “uno sfondo di ottimismo e disperazione sconsiderati”, che scaturisce dalla percezione di un futuro “imprevedibile”, che avrebbe poi di fatto caratterizzato per intero il Novecento. Noi possiamo constatare, oggi, che questa incertezza sulle sorti della storia degli uomini e del pianeta non si è ancora dissolta.
«Due guerre mondiali in una generazione, separate da un’ininterrotta catena di guerre locali e rivoluzioni, e non seguite da un trattato di pace per i vinti e da una pausa di respiro per i vincitori, si sono risolte nella previsione di una terza guerra mondiale fra le due grandi potenze rimaste in lizza. Questo momento di attesa è come la calma che interviene quando ogni speranza è svanita (…).
Mai il nostro futuro è stato più imprevedibile, mai siamo stati tanto alla mercé di forze politiche che non si può confidare seguano le norme del buon senso e del proprio interesse, forze che danno l’impressione di pura follia se giudicate coi criteri di altri secoli. È come se l’umanità si fosse divisa fra quelli che credono nell’onnipotenza umana… e quelli per cui l’impotenza è diventata la maggiore esperienza della loro vita.
(…) Questo libro è stato scritto su uno sfondo di ottimismo e disperazione sconsiderati. Esso ritiene che progresso e rovina siano due facce della stessa medaglia; che entrambi siano articoli di superstizione, non di fede (…).
Il tentativo totalitario di conquista del globo e di dominio totale è stato un modo distruttivo per uscire dai vicoli ciechi. La sua vittoria poteva, e può, coincidere con la distruzione dell’umanità; dovunque ha imperato, esso ha cominciato a distruggere l’essenza dell’uomo. Ma voltare le spalle alle forze distruttive del secolo non serve a nulla.
Il nostro periodo ha così stranamente intrecciato il bene col male che senza l’“espansione per l’espansione” degli imperialisti il mondo non sarebbe mai diventato tutt’uno; senza l’invenzione politica della borghesia, il “potere per il potere”, non si sarebbe mai scoperta l’estensione della forza umana; senza il mondo fittizio dei movimenti totalitari, in cui sono venute in luce con ineguagliata chiarezza le incertezze essenziali del nostro tempo, noi saremmo forse stati spinti verso la rovina senza neppure renderci conto di quel che stava accadendo.
E se è vero che nelle fasi finali del totalitarismo appare un male assoluto… è altresì vero che senza di esso non avremmo forse mai conosciuto la natura veramente radicale del male.
L’antisemitismo (non il semplice odio contro gli ebrei), l’imperialismo (non la semplice conquista), il totalitarismo (non la semplice dittatura) hanno dimostrato, uno dopo l’altro, uno più brutalmente dell’altro, che la dignità umana ha bisogno di una nuova garanzia, che si può trovare soltanto in un nuovo principio politico, in una nuova legge sulla terra, destinata a valere per l’intera umanità, pur essendo il suo potere strettamente limitato e controllato da entità territoriali nuovamente definite.»
Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo (Trad. Amerigo Guadagnin).