Home Cultura LE CITAZIONI: Balibar. L’Europa sta finendo?

LE CITAZIONI: Balibar. L’Europa sta finendo?

Étienne Balibar

by Ernesto Scelza
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Il filosofo francese Étienne Balibar titola “Nazionalismo, populismo, democrazia: dove il pericolo? dove il rimedio?” questo paragrafo di un suo testo di soli pochi anni fa che tenta di fare il punto sulla crisi dell’Unione europea e sulle prospettive della Europa politica. E lo introduce richiamando una illuminante notazione di Antonio Gramsci: “La crisi consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”, e ricordando quanto il celebre passo “si presta bene a raffigurare il presente di un’Europa che sta sopravvivendo alla propria agonia, invischiata in una logica di disfacimento dagli esiti impredicibili. Perché, nel contesto attuale irreversibilmente globalizzato, la fine parrebbe già avvenuta”.

 

«Dunque è la fine dell’Unione europea, della costruzione iniziata cinquant’anni fa sulla base di una vecchia utopia e che non ha mantenuto le sue promesse? Non si deve aver paura di dirlo: sì, inevitabilmente, a più o meno breve termine, e non senza alcune prevedibili scosse violente, l’Europa è morta come progetto politico, a meno che non riesca a rifondarsi su nuove basi. La sua disintegrazione lascerebbe ancora di più i popoli che la compongono in balia delle incertezze della globalizzazione. La rifondazione non garantisce nulla, ma offre qualche possibilità di esercitare un ruolo geopolitico, a vantaggio proprio e degli altri, a condizione di osare affrontare le immense sfide di un federalismo di nuovo tipo. Sfide che si chiamano «potenza pubblica comunitaria» (diversa sia da uno Stato sia da una semplice governance dei politici e degli esperti), «eguaglianza tra le nazioni» (l’opposto dei nazionalismi reattivi, del forte come del debole) e «rinnovamento della democrazia» nello spazio europeo (anche qui l’opposto della de-democratizzazione attuale, favorita dal neoliberismo e dallo statalismo senza Stato delle amministrazioni europee, colonizzate dalla casta burocratica, per buona parte responsabili della corruzione pubblica).

Da molto tempo si sarebbe dovuto ammettere questa evidenza: non ci sarà un progresso verso il federalismo che si invoca, e che in effetti è auspicabile, senza un progresso della democrazia al di là delle forme oggi esistenti, in particolare senza una intensificazione dell’intervento popolare nelle istituzioni sovranazionali. Ciò significa che per invertire il corso della storia, scuotendo le abitudini di una costruzione ormai priva di ossigeno, c’è bisogno di qualcosa di simile a un populismo europeo, un movimento convergente di masse o una insurrezione pacifica in cui si esprimono al tempo stesso la collera delle vittime della crisi contro quelli che ne approfittano (o la promuovono) e il bisogno di un controllo dal basso dei rapporti tra finanza, mercati e politiche degli Stati? Sì, è così, perché non c’è altro nome per indicare la politicizzazione del popolo, ma a condizione – se si vogliono scongiurare altre catastrofi – che vengano istituiti seri controlli costituzionali e che a livello europeo nascano forze politiche che facciano prevalere all’interno di questo populismo postnazionale un immaginario e degli ideali democratici intransigenti. In questo c’è un rischio, però è minore di quello di lasciare libero corso ai diversi nazionalismi.»

Étienne BalibarCrisi e fine dell’Europa?

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