“Non conosco bene le notti di Napoli. Le intuisco. So che il sonno è lento e i sogni fecondi, conosco la superficie delle cose che si assentano per fare di Napoli un ricordo ostinato, un’immagine all’ombra della vita insolente… Napoli, viscere d’Italia, ventre insolito del mondo, innalza lentamente i suoi vicoli fino al cielo passando per le periferie del sogno”: così Tahar Ben Jelloun, lo scrittore e poeta marocchino che scrive in francese, introduce questo prezioso volumetto pubblicato nel 2004 da Tullio Pironti, “l’editore napoletano di Piazza Dante”. “Una città è una miriade di volti, corpi e ricordi… Questa storia non si svolge nei bassifondi né nelle viscere di questa città che divora i cuori solitari, ma alla superficie delle cose e delle pietre. Passa da un viso all’altro e lascia un vecchio poeta in preda alla nostalgia e alle sue parole”.
«Il giorno dopo ci ritrovammo in via Duomo, accanto a Palazzo Cuomo, e decidemmo di scendere per corso Umberto I. Eravamo nella Napoli più strana, quella della realtà, la Napoli della gente che non fa più attenzione a quel che vede e a dove vive, poi nella Napoli che c’inventavamo, che dipingevamo man mano che i nostri passi ci portavano verso l’ignoto. Mi chiese di dirle cosa mi piaceva di Napoli (…).
“Di Napoli non amo i musei, le chiese, i monumenti, e neppure il mare. Di Napoli amo la turbolenza delle pietre, la follia che plana sui tetti come una nuvola, i panni stesi ad asciugare sulla corda tesa fra due balconi, una donna anziana vestita di nero che conservava ancora negli occhi l’ironia, l’eccesso, l’eccesso di rumore, l’eccesso di mistero, l’eccesso di evidenza e di violenza, la vernice rossa versata sui muri per far credere che si tratti di sangue, credere al sangue di san Gennaro che si liquefa e a quello di san Giovanni Battista che ribolle, di Napoli amo l’odore di nafta mischiata alla polvere soffocante, il sudore dei volti che imprecano contro l’ordinario disordine, una lavanderia aperta per vendere i biglietti della lotteria, la strada che si restringe per evitare una chiesa, una madonna che piange lacrime di sangue, il miracolo che cammina sopra una montagna di leccornie, la glassa che si aggiunge per bellezza, lo scooter che solca i viali zigzagando, il televisore acceso giorno e notte, il sorriso di una bella donna che aspetta il proprio uomo, una pattuglia di poliziotti che fa finta di riportare l’ordine, la manifestazione dei teppisti, il museo nazionale che dà le spalle alle urla della città vecchia, un parcheggio che deturpa ulteriormente Piazza Dante, un ristorante a menù fisso, la funicolare che si prende per un treno magico, una coppia appena sposata che esce di corsa dalla chiesa e va a farsi fotografare sul molo, una strada che non porta da nessuna parte, un’altra che finisce in un fosso, la notte che avvolge i muri di uno schermo pieno di stelle, i fuochi d’artificio che incantano il cielo dell’ultima ora dell’anno, un viale che si perde in un tunnel, un pendio che mi ricorda calle Giosafat a Tangeri, un corso che mi fa pensare alle ramblas di Barcellona, un albergo che pretende di aver ospitato Hemingway, un castello che si ricorda, una reggia che diventa museo, una nave che parte per Capri, una che arriva da Amalfi, un turista che si fa derubare la borsa, un altro che prende un colpo di sole, un milanese che è disgustato, un romano sprezzante che scappa via, una cortina di fumo, una fontana dimenticata, una terrazza a Posillipo, giardini che si prendono per specchi, alberi che cantano, impalcature che si screpolano, candele per niente, una preghiera per abitudine, uno sparo nel bar, le fogne che traboccano, i profumi contraffatti di certe signore, lo sguardo del sordo, la passione del pazzo, Stendhal nelle memorie, Rabelais a scuola, il principe Totò che non fa più il clown, Vittorio De Sica in bianco e nero, le cartoline smarrite dalle poste, colline che si allontanano, città nella città dove si sentono sospirare i morti, cimiteri in cui gli angeli respirano ancora, colombi che spazzano Piazza del Plebiscito, grida nella notte, volti infarinati nella folla, un circo che se ne va, l’amore clandestino nel silenzio delle chiese, una marocchina perduta nella città vecchia ed io, che le tengo la mano…”.»
Tahar Ben Jelloun, Il labirinto dei sentimenti.