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LE CITAZIONI: Camilleri. L’importanza di chiamarsi Benito…

Andrea Camilleri

by Ernesto Scelza
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Sono trascorsi oramai sei anni da quell’estate del 2019 in cui ci lasciava Andrea Camilleri: per tanti di noi molto di più che uno scrittore di grande successo, uno sceneggiatore e un saggista. Un esponente della grande intellettualità siciliana, da Giovanni Verga a Luigi Capuana, da Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Luigi Pirandello a Elio Vittorini, Salvatore Quasimodo, Gesualdo Bufalino, Vincenzo Consolo. Fino a Leonardo Sciascia, di cui Camilleri eredita vena narrativa, gusto per l’indagine e la ricerca e attenzione critica al presente. Con quello sguardo disincantato di chi sa di appartenere ad una tradizione ricca e lunga, e la lettura lucida e impietosa del decadere della tenuta morale dell’Italia contemporanea. Un maestro, in una parola. Il brano citato è tratto da uno dei racconti di Vigàta, raccolti da Sellerio in ‘Gran Circo Taddei e altre storie di Vigàta’.

 

«Breve, la vita felice di Benito Cirrincione, si potrebbe diri citanno il titolo di un racconto di un celebrissimo scrittori miricano (‘La breve vita felice di Francis Macomber’ di Ernest Hemingway, ndr).

Benito, detto Nito dai famigliari e dalli scarsi amici che ebbe, nascì nel priciso ‘ntifico momento nel quali Binito Mussolini s’affacciava dallo storico balconi di Piazza Venezia, a Roma, per proclamari all’urbi e all’orbo che l’Italia fascista trasiva ‘n guerra con i bissini d’Abbissinia.

La potenti voci di Mussolini, portata dall’altoparlanti assistimati nelle strate di Vigàta fino a dintra alla càmmara di letto della signura Concetta Ficarra maritata Cirrincione, sopraffici il primo chianto del neonato.

Tanto la matre quanto il patre, il ragioneri Armando Cirrincione, ‘mpiegato di terzo grado al Municipio di Vigàta, doppo longhe discussioni avivano addeciso di chiamari questo loro primo figlio Agatino, in modo che nel nomi ci fossi in qualichi modo prisenti tanto quello della matre di lei, che faciva Agazia, quanto quello del patre di lui, che faciva Costantino.

Senonché, capitò che al momento nel quali il patre s’arrecò all’ufficio anagrafe per addenunziari la nascita del figlio e dargli il nomi concordato, nella càmmara s’attrovasse non tanto casualmente il Potestà Brucato, fascista della prima ora, squatrista e marcia su Roma.

Il Potestà chiamò sparte ad Armando prima che quello potissi avvicinarisi al tavolino dell’addetto.

“Camerata Cirrincione, ho saputo che avete avuto un figlio maschio”.

“Sissignore”.

“Stamattina sono state denunziate solo nascite di femmine. Meno male che siete arrivato voi. Che nome volete mettergli?”.

“Agatino”.

“Che cazzo di nome è?”.

“Ora vengo e mi spiego. Me mogliere Concetta…”.

“Non me ne frega niente di vostra moglie. Volete essere promosso impiegato di secondo grado?”.

“Come no!”.

“Allora il nome di vostro figlio è Benito! D’accordo?”.

“Ma cillenza Potestà, nella nostra famiglia…”.

“Me ne frego della vostra famiglia! L’aumento, per il passaggio di grado, è di venti lire mensili. Per voi, e solo per voi, sarà di trenta. D’accordo?”.

“Signorsì”.

Il Potestà isò il vrazzo nel saluto romano e niscì dalla càmmara. Trasì nel so ufficio e accomenzò a scriviri un tiligramma per Mussolini: “Duce! Mentre le nostre gloriose forze armate fasciste, sotto la vostra illuminata guida, s’apprestano a conquistare l’Impero, mi onoro comunicarvi che nel comune di Vigàta in data odierna è stato imposto a un neonato, e per la decima volta, il nome di Benito. Vi prometto di raggiungere quota venti Beniti entro l’anno. Alalà”.

Quanno la signura Concetta seppi che so figlio s’acchiamava Benito, armò un catunio col marito. Questi s’addifinnì con l’unico argomento che aviva: “Ma tu lo sai che venno a significari trenta liri al misi d’aumento?”.

E la signura Concetta dovitti chiantarsi col vintotto.

Ma da quel momento in po’ a so figlio lo chiamò Nito e non ci fu verso di farle diri il nomi intero. Come non ci fu cchiù verso d’aviri ‘na nova gravidanza. Benito ristò figlio unico.

Parse che tutte le malatie ‘nfantili dell’universo criato si fossiro passata la parola. Il picciliddro non sinni scansò una. Per dù vote corse piricolo di morti. Ma all’ultimo momento, quanno tutti dicivano che non c’erano cchiù spranze e arrivava il parrino con l’oglio santo, s’arripigliava e scansava la morti.

Non la scansò ‘nveci so patre.

Richiamato subito sutta l’armi appena che scoppiò la guerra del ’40, fu mannato al fronti francisi cantanno: Se la Francia non è una troja, deve darci Nizza e Savoja.

Un soldato francisi, che era chiaramenti un figlio di troja, gli spaccò la fronti con una fucilata al primo scontro.»

Andrea Camilleri, Un giro di giostra.

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