La citazione è parte di un articolo originariamente scritto per ‘L’Unità’ e quindi raccolto nel volume ‘Modernizzare stanca’, che ha un sottotitolo illuminante: ‘Perdere tempo, guadagnare tempo’. L’autore, Franco Cassano, è stato uno scrittore, sociologo e filosofo che ha anticipato e accompagnato le pulsioni e le passioni di una intera generazione: quella dei giovani della seconda metà del Novecento. “Gli apologeti della modernità consumano voracemente il mondo e pensano di migliorarlo. Ma forse il nostro paese offre altri modelli culturali che vale la pena difendere… Il gusto della lentezza, il rispetto del limite non sono residui premoderni, ma elementi irrinunciabili di un’idea di ricchezza più matura, non schiacciata sull’unico indicatore del possesso di merci (…). Contro il mito efficientista e nevrotico della modernizzazione gli italiani non hanno solo da apprendere ma anche qualcosa da insegnare”.
«Gli uomini che hanno potere dovrebbero scendere dalle auto blindate e iniziare a passeggiare. Una passeggiata vuol dire essere restituiti alla strada e alla nudità casuale delle persone, guardare gli alberi, i palazzi o il mare, inseguire pensieri spesso splendidamente banali. Passeggiare vuol dire avere un cane per amico, oppure un amico libero come un cane, con cui parlare di tutto, uno che ti ascolta e ha voglia di perdere tempo con te (…). Passeggiare è commentare i titoli dei giornali con uno che non conosci, indicare una strada a un passante, ricordarsi di comprare qualcosa prima di tornare. Passeggiare è imbattersi in chi non t’aspetti… è fermarsi al bar e guardare la gente che passa, parlare con chiunque dell’ultima partita, tanto per scambiarsi calore. Passeggiare è giocare dolcemente con la giornata, decidere che ne puoi perdere un pezzo perché lo vuoi guadagnare. Passeggiare è il piacere dell’anonimato e quello della compagnia, incrociare gente che non conosci e facce note, salutare o non salutare (…).
Passeggiare è evadere dalla corsa feroce, da quell’assedio che chiude le porte da cui potrebbe entrare la vita, da quelle giornate murate che fanno del telefono cellulare un cellulare di polizia. Passeggiare è mettere la punteggiatura ai giorni, andare a capo, voltare pagina, creare intervalli, parentesi o punti interrogativi. Passeggiare vuol dire infiltrare un po’ di vacanza in ogni giornata, lasciare aperta una fessura nel quotidiano, sapendo che la sorpresa può entrare anche dalle porte strette. Passeggiare non vuol dire sparire, ma mettere le virgolette a ciò che pretende di essere assoluto, resistere a tutte le militarizzazioni. Passeggiare vuol dire rispetto per la saggezza, per quel sentimento che ci ricorda che siamo a lunga conservazione, ma abbiamo una data di scadenza e domani potrebbe essere tardi, una metafisica che rispetta la fisica.
Passeggiare è un’arte povera, un far niente pieno di cose (…). Passeggiare è abbandonare la linea retta, improvvisare il percorso, decidere di volta in volta la rotta, girare a vuoto nella penombra, non avere paura di ascoltarsi. Passeggiare è ritornare a sé stessi e a quella parte di noi che è la premessa di tutto (…). Passeggiare è ritornare a sé stessi e a quella parte di noi che è la premessa di tutto… è il desiderio del ragazzo e dell’anziano, un’arte che l’adulto ha rimosso e sostituito con l’agonismo del jogging e della fitness. Passeggiare non serve a tenersi in forma, ma a dare forma alla vita, a farle capire le proporzioni, è la modesta preghiera degli arti inferiori.
(…) Gli uomini con responsabilità girano accerchiati da guardie del corpo, da occhi paranoici che guardano le strade e i palazzi come insidie. Probabilmente tutto ciò è inevitabile, ma non si deve mai dimenticare che questo essere privati della libertà di passeggiare mette capo a una vita rovesciata, dove scompare il contatto nudo con gli altri, con sé stessi e con ciò che conta veramente.»
Franco Cassano, Passeggiare non stanca.