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LE CITAZIONI: de Toqueville. Schiavitù o libertà, civiltà o barbarie

Alexis de Toqueville

by Ernesto Scelza
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L’Alexis de Toqueville che nel 1840 dà alle stampe il secondo volume de ‘La democrazia in America’, a cinque anni dal primo e a otto dal rientro in Francia dopo il soggiorno negli Stati uniti d’America e in Canada, non è più il giovane aristocratico ammirato dalla democrazia parlamentare di cui aveva analizzato virtù e limiti. È un disincantato “liberale di tipo nuovo” che avverte il mutare dei tempi: “Non sentite forse un vento di rivoluzione nell’aria?” diceva alla Camera, nell’indifferenza dei suoi colleghi, il 27 gennaio 1848. Dopo le barricate del giugno scoprirà che il vero protagonista di questa lotta non era il popolo, ma la classe operaia di Parigi (Nicola Matteucci). La citazione è tratta dalla parte conclusiva del volume.

 

«Bisogna dunque guardarsi dal giudicare le società nascenti con idee attinte in società che non esistono più. Sarebbe ingiusto, perché queste società, essendo straordinariamente diverse, sono incomparabili.

E neppure sarebbe molto ragionevole pretendere dagli nomini di oggi quelle virtù particolari che erano legate alla costituzione sociale dei loro avi, perché appunto questa costituzione sociale è caduta e ha trascinato confusamente nella sua rovina tutti i beni e i mali, che portava con sé.

Ma queste cose non sono ancora ben capite ai nostri giorni.

Vedo un gran numero di miei contemporanei intenti a fare una scelta fra le istituzioni, le opinioni, le idee che provengono dalla costituzione sociale aristocratica; ne abbandonerebbero volentieri alcune, ma vorrebbero conservare le altre e portarle con sé nel mondo nuovo.

Penso che costoro consumino il loro tempo e le loro forze in un lavoro onesto e sterile.

Non si tratta più di conservare i vantaggi particolari, che la disuguaglianza delle condizioni procura agli uomini, ma di consolidare i nuovi beni, che l’uguaglianza può offrire loro. Non dobbiamo aspirare a diventare simili ai nostri padri, ma sforzarci di raggiungere il tipo di grandezza e di benessere che ci è proprio.

Quanto a me che, giunto a quest’ultima tappa del mio cammino, vedo di lontano, ma tutti quanti insieme, i diversi argomenti che avevo presi in esame separatamente lungo il cammino, mi sento pieno di timori e di speranze. Vedo grandi pericoli, che si possono scongiurare; grandi mali, che si possono evitare o contenere, e mi convinco sempre più che, per essere oneste e prospere, basta solo che le nazioni democratiche lo vogliano.

Non ignoro che molti dei miei contemporanei hanno pensato che i popoli, quaggiù, non sono mai padroni di loro stessi e che obbediscono necessariamente a non so mai quale forza invincibile e inintelligente che nasce da avvenimenti precedenti, dalla razza, dal suolo o dal clima.

Si tratta di dottrine false e rinunciatarie, che potrebbero solo produrre uomini fiacchi e nazioni vili; la Provvidenza non ha creato il genere umano né interamente indipendente, né totalmente schiavo. Essa traccia, è vero, intorno ad ogni uomo un cerchio fatale da cui non può uscire; ma, nei suoi vasti limiti, l’uomo è potente e libero, e così lo sono i popoli.

Le nazioni moderne non possono evitare che le condizioni diventino uguali; ma dipende da loro che l’uguaglianza le porti alla schiavitù o alla libertà, alla civiltà o alla barbarie, alla prosperità o alla miseria.»

Alexis de Toqueville, La democrazia in America.

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