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LE CITAZIONI: Euripide. Ecuba seppellisce Astianatte

Le Troiane

by Ernesto Scelza
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Euripide presenta al pubblico ‘Le Troiane’, nel 415 a.C., mentre infuria la Guerra del Peloponneso. Lo spirito degli Ateniesi è turbato per la ferocia dei combattenti, ed Euripide, probabilmente, è impressionato dalle stragi compiute dai suoi concittadini nell’assedio e nella conquista di Melo, avvenuta nell’inverno dell’anno 416-415. “Folle chi rade al suolo le città, e i templi e le tombe ne abbandona, sacro asilo dei morti: presto o tardi pagherà molto care le sue colpe”. Ecuba, la vecchia regina destinata, dopo l’uccisione dei figli e la tratta in schiavitù delle figlie, a servire Odìsseo, accoglie le spoglie di Astianatte, il figlio di Ettore, precipitato dalla rocca dai Greci, per timore che un giorno potesse vendicarsi del padre e della distruzione di Troia: “Qui riposa un fanciullo cui gli Argivi diedero un giorno morte per paura!”

 

Ecuba:

Al suol ponete dello scudo d’Ettore

l’orbe: lugubre vista agli occhi miei,

e men che grata. O Achei, per l’armi insigni

piú che pel senno, e che mai temevate,

che con novello scempio avete ucciso

questo fanciullo? Ch’ei Troia abbattuta

risollevasse un dí? Nulla eravate,

dunque, allorché pugnava Ettore, e seco

mille e mille altre schiere, ed anche noi

sopraffatti eravamo? E adesso, che

Troia è caduta, e sterminati i Frigi,

d’un fanciullo temete? Il terror, quando

invade i cuor senza ragione, io biasimo. –

Deh, quanto sciagurata, o dilettissimo,

fu la tua morte! Se caduto fossi

per la patria pugnando, o già godute

la gioventù, le nozze avessi, o il regno

che l’uom pari agli Dei rende, felice

ti chiamerei, se pur felicità

in tali cose esiste. Or tu, nessuna

di queste cose sai, né di scienza,

figlio mio, né di prova: il bene in casa

avevi, e nulla pur tu ne godesti.

Come, infelice, le paterne mura,

opra di Febo, dal tuo capo i riccioli

hanno estirpati! Li educò la madre,

di baci li copriva: adesso ride

dall’ossa infrante il sangue: io dir non voglio

parole orrende! O mani, in cui soave

delle mani paterne è ancor l’impronta,

come dinanzi a me giace la vostra

compagine distrutta! O caro labbro,

che tanti e tanti puerili canti

pronunciavi, or sei spento! E tu mentivi

quando, saltando sul mio letto: “O madre –

dicevi – un lungo ricciolo per te

reciderò delle mie chiome, e schiere

guiderò di compagni al tuo sepolcro,

dolci saluti a te rivolgerò”.

Ed or, non a me tu, ma io, vegliarda

senza patria né figli, a te fanciullo

darò sepolcro, al tuo misero corpo.

Ahi son finiti i tanti baci, e i giorni

ch’io ti nutrivo, i tuoi sonni vegliavo.

Un poeta che mai scriver potrebbe

sulla tua tomba? “Uccisero gli Argivi

questo fanciullo, per la paura”.

Euripide, Le Troiane.

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