Il grande poeta Alfonso Gatto partecipa alla Resistenza e alla liberazione di Milano. Per i quaderni di “Milano-Sera”, che dirige con Michele Rago, esce nel ’47 una scelta dei versi più direttamente ispirati alla clandestinità e alla Resistenza: “Il capo sulla neve”. “Io credo che nel cuore di tutti gli uomini sopravvissuti alle stragi e agli orrori di quest’ultima guerra sia rimasta una durezza che non si scioglierà mai, tanto meno nelle parole. I racconti, narrati alla buona o scritti ad arte e con arte, si fermeranno anch’essi a questo punto vuoto e chiarissimo ch’è in noi, a questa pietra che suggella il silenzio e il freddo di intere generazioni”, scrive nella “Premessa”.
Con l’acqua morta della sera udivo
quasi lontane rondini passare
azzurre all’ombra del Naviglio. Intorno,
ogni tristezza al braccio dei soldati
era un odore povero di donna
coi garofani scuri sopra il petto.
Affioravano i lumi come ceri
nelle stanze di tenebra ove a note
basse cantava già la guerra un canto
“Lili Marleen”. Ed annottava il mondo,
sulle donne scendevano nel pianto
le gramaglie di rose dei cortei.
Così ti dissi, e non avevi un volto,
solo le spalle rassegnate, il vento.
Così ti dissi…
Con tutto il pianto spegnerai la voce
per cantare sul mondo e dirgli addio
sempre, ogni sera, per veder passare
tante lontane rondini nel cielo
azzurre nere, come in un tepore
nuovo per l’aria e per la terra. Addio,
è la dolce parola che va al braccio
di chi vive nell’ombra e col suo lume
raccoglie il mondo in un silenzio eterno.
Dei garofani scuri sul tuo petto,
d’ogni povero odore, trema il giorno
che muore sulla dàrsena. Chi vive
vede le case e la città che è sola
con i treni perduti, con le nebbie
lungo i fanali del tuo canto. Un sogno,
e imbianchi, luna di pietà, la guerra,
o mia voce perduta che reclini
per tutti i morti il capo sulla neve.
Alla voce perduta.